Volume 1

VOLUME 1

J.M.J.[1] In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Per pura obbedienza incomincio a scrivere.
Tu sai o Signore, quanto sacrificio mi costa fare ciò, a mille morti mi assoggetterei anziché scrivere un solo rigo delle cose che sono passate tra me e Te.
Oh mio Dio! la natura freme, si sente schiacciata e quasi disfatta al solo pensarlo.
Deh! dammi la forza, o Vita della mia vita, affinché possa fare la santa obbedienza! Tu che hai dato l'ispirazione al confessore, dammi la grazia di poter eseguire ciò che mi viene comandato.
O Gesù, o Sposo, o fortezza mia! A Te m'innalzo, a Te vengo, nelle tue braccia m'intrometto, m'abbandono, mi riposo.
Deh, sollevami nella mia afflizione e non mi lasciare sola e abbandonata! Senza il tuo aiuto sono certa che non avrò forza di fare questa obbedienza che tanto mi costa, mi farò vincere dal nemico e temo d'essere da Te allontanata giustamente per la mia disobbedienza.
Deh! mirami e rimirami, o Sposo Santo, in queste tue braccia.
Vedi da quante tenebre sono circondata, sono tanto dense che non lasciano far entrare neppure un atomo di luce nell'anima mia.
Oh! mio mistico Sole, Gesù, risplenda questa luce nella mia mente, acciocché metta in fuga le tenebre e possa liberamente ricordare quelle grazie che avevi fatto all'anima mia.
Oh! Sole Eterno, spicca un altro raggio di luce nell'intimo del mio cuore e purificalo dal fango in cui giace, incendialo, consumalo col tuo amore, affinché esso, che più di tutto ha provato le dolcezze del tuo amore, possa chiaramente manifestarle a chi ne è obbligato.
Oh! mio Sole Gesù, un altro raggio di luce ancora sulle mie labbra acciocché possa dire la pura verità, a solo scopo di conoscere se sei Tu veramente oppure è illusione del nemico.
Ma, o Gesù, quanto scarsa di luce mi vedo ancora in queste tue braccia!.
Deh! contentami, Tu che tanto mi ami, continua a mandarmi luce.
Oh! mio Sole, mio bello, voglio proprio entrare nel centro, affinché resti tutta inabissata in questa luce purissima.
Fa’, o Sol Divino, che questa luce mi proceda innanzi, mi segua d'appresso, mi circondi per ogni dove, s’intrometta in ogni intimo nascondiglio del mio interno, acciocché sia consumato il mio essere terreno e sia trasformato tutto nel Tuo Essere Divino.
Vergine Santissima, Madre amabile, vieni in mio soccorro, ottienimi dal tuo e mio dolce Gesù, grazia e fortezza per fare questa obbedienza.
San Giuseppe, protettore mio caro, assistimi in questa mia circostanza.
Arcangelo San Michele, difendimi dal nemico infernale che tanti ostacoli mi mette nella mente per farmi mancare a questa obbedienza.
Arcangelo San Raffaele e tu Angelo mio custode, venite ad assistermi e ad accompagnarmi, a dirigere la mia mano affinché possa scrivere la sola verità.
Sia tutto ad onore e gloria di Dio ed a me tutta la confusione.
O Sposo Santo, vieni in mio aiuto! Nel considerare le tante grazie che hai fatto all'anima mia mi sento tutta raccapricciata e spaventata, tutta piena di confusione e vergogna nel vedermi ancora così cattiva ed incorrispondente alle tue grazie.
Ma, mio amabile e dolce Gesù, perdonami, non ritirarti da me, ma continua a versare in me la tua grazia, acciocché possa fare di me un trionfo della tua misericordia.
Novena del Santo Natale Incomincio: In una novena del Santo Natale, all'età di diciassette anni circa, mi preparai alla festa del Santo Natale praticando diversi atti di virtù e mortificazione, onorando specialmente i nove mesi che Gesù stette nel seno materno, con nove ore di meditazione al giorno, relative sempre al mistero dell'incarnazione.
Prima Ora.
Come per esempio, in un’ora mi portavo col pensiero nel paradiso e immaginavo la Santissima Trinità: il Padre che mandava il Figlio sulla terra, il Figlio che prontamente ubbidiva al Volere del Padre, lo Spirito Santo che vi consentiva.
La mia mente si confondeva nel mirare un sì grande mistero, un amore sì reciproco, sì uguale, sì forte tra Loro e verso gli uomini; e poi, l'ingratitudine degli uomini e specialmente la mia.
Sarei rimasta non un'ora ma tutto il giorno, ma una voce interna mi diceva: "Basta, vieni e vedi altri eccessi più grandi del mio amore.”
Seconda Ora.
Quindi la mia mente si portava nel seno materno e rimaneva stupita nel considerare quel Dio sì grande nel Cielo, ora così annichilito, impicciolito, ristretto, che non poteva muoversi e quasi neppure respirare.
La voce interna mi diceva: "Vedi quanto ti ho amato?
Deh! dammi un po' di largo nel tuo cuore, togli tutto ciò che non è mio, così mi darai più agio a potermi muovere ed a farmi respirare.”
Il mio cuore si struggeva, gli chiedevo perdono, promettevo d'essere tutta sua, mi sfogavo in pianto, ma, lo dico a mia confusione, ritornavo ai miei soliti difetti.
O Gesù, quanto sei stato buono con questa misera creatura! E così passavo la seconda ora del giorno e poi, via via il resto, che dirle tutte sarebbe seccare.
E questo lo facevo a volte in ginocchio e, quando ne ero impedita dalla famiglia, anche lavorando.
Poiché la voce interna non mi dava né tregua né pace se non facevo quel che voleva, quindi il lavoro non mi era d'impedimento nel fare quel che dovevo fare.
Così passai i giorni della novena; quando giunse la vigilia mi sentivo, più che mai accesa d'insolito fervore, stavo sola nella stanza, ed eccomi che mi si fece innanzi il Bambinello Gesù tutto bello, sì, ma tremante, in atto di volermi abbracciare, io mi alzai e corsi per abbracciarlo, ma, nell'atto di stringerlo, scomparve e questo si ripeté per ben tre volte.
Restai tanto commossa ed accesa che non so spiegarlo.
Ma dopo qualche tempo non ne feci tanto conto, non feci motto a nessuno e di tanto in tanto cadevo nelle solite mancanze.
Sebbene la voce interna non mi abbia mai più lasciata, in ogni cosa mi riprendeva, mi correggeva, mi animava, in una parola, il Signore fece per me come fa un buon padre verso il figlio che vuole sviare dal dritto sentiero e lui usa tutte le diligenze, le cure per ritenerlo in modo da formarne il suo onore, la sua gloria, la sua corona.
Ma, oh Signore, troppo ingrata ti sono stata! Il distacco dalle creature.
Onde il Divin Maestro dette inizio, posò mano a spogliare il mio cuore da tutte le creature e, con voce interna, mi diceva: "Io sono tutto il bello e merito d'essere amato, vedi, se tu non togli questo piccolo mondo che ti circonda, cioè, pensieri di creature, immaginazione, Io non posso liberamente entrare nel tuo cuore, questo mormorio nella tua mente è d'impedimento a farti sentire più chiara la mia voce, a versare le mie grazie, ad innamorarti veramente di Me.
Promettimi d'essere tutta mia ed Io stesso metterò mano all'opera.
Tu hai ragione che non puoi niente, non temere, farò Io il tutto, dammi la tua volontà e ciò mi basta.”
E questo succedeva al più nella comunione.
Quindi gli promettevo d'essere tutta sua, gli chiedevo perdono se fino a quel punto non lo ero stata; gli dicevo che veramente lo volevo amare e lo pregavo che non mi lasciasse mai più sola senza di Lui e la voce continuava: "No, no, verrò insieme con te ad osservare tutte le tue azioni, i movimenti, i desideri tuoi.”
Quindi tutto il giorno me lo sentivo accanto, mi riprendeva su tutto, per esempio se mi lasciavo trasportare nel discorrere un po' troppo con la famiglia di cose anche indifferenti, non necessarie, la voce interna mi diceva: "Questi discorsi ti riempiono la mente di cose che a Me non appartengono, ti circondano il cuore d'una polvere in modo da farti sentire debole la mia grazia, non più viva.
Deh! imita Me quando stavo nella casa di Nazaret, la mia mente non si occupava d'altro che della gloria del Padre e della salvezza delle anime, la mia bocca non diceva altro che discorsi santi, con le mie parole cercavo di riparare le offese del Padre, di saettare i cuori e tirarli al mio amore e primariamente la mia Madre e S.
Giuseppe, in una parola, tutto chiamava Dio, tutto si operava per Dio e tutto a Lui si riferiva.
Perché non potresti tu altrettanto?”
Io restavo muta, tutta confusa, cercavo quanto più potevo di starmene sola, gli confessavo la mia debolezza, gli chiedevo aiuto e grazia di poter fare ciò che Lui voleva, che da me sola non sapevo fare altro che male.
Se durante il giorno la mia mente si occupava di pensare a persone a cui io volevo bene, subito mi riprendeva dicendomi: "Questo è il bene che mi vuoi?
Chi mai ti ha amato come Me?
Vedi, se tu non la finisci, Io ti lascio.”
Alle volte mi sentivo dare tali e tanti rimproveri amari che non facevo altro che piangere.
Specialmente una mattina, dopo la comunione mi diede un lume tanto chiaro sull’amore grande che Lui mi portava e sulla volubilità ed incostanza delle creature, che il mio cuore ne restò tanto convinto, che d'allora in poi non è stato più capace d'amare persona alcuna.
M'insegnò il modo come amare le persone senza discostarmi da Lui, cioè, col mirare le creature come immagine di Dio, in modo che se ricevevo il bene dalle creature, dovevo pensare che solo Iddio era il primo autore di quel bene e che s’era servito della creatura per mandarmelo, quindi il mio cuore si legava più a Dio.
Se poi ricevevo delle mortificazioni, dovevo guardarle pure come strumenti nelle mani di Dio per la mia santificazione, onde il mio cuore non restava ombrato col mio prossimo.
Onde in questo modo avveniva che io miravo le creature tutte in Dio, per qualunque mancanza vedevo Dio in loro, non perdevo mai la stima se mi motteggiavano, mi sentivo obbligata pensando che mi facevano fare nuovi acquisti per l'anima mia; se mi lodavano, ricevevo con disprezzo queste lodi, dicendo: “Oggi questo, domani possono odiarmi”, pensando alla loro incostanza.
Insomma il mio cuore acquistò una libertà tale che io stessa non so esprimerla.
L’Umiltà.
Quando il Divin Maestro mi liberò dal mondo esterno, allora pose mano a purificare l'interno e con voce interna mi diceva: "Adesso siamo rimasti soli, non c'è più nessuno che ci disturbi; non sei adesso più contenta di prima che dovevi contentare tanti e tanti?
Vedi, è più facile contentare uno solo, devi fare conto che Io e tu siamo soli nel mondo, promettimi d'essere fedele ed Io verserò in te tali e tanti grazie da restarne tu stessa meravigliata.”
Quindi proseguì a dirmi: "Sopra di te ho fatti dei grandi disegni, sempre se mi corrispondi, voglio fare di te una mia perfetta immagine, cominciando dal momento in cui nacqui finché morii.
Io stesso t'insegnerò un poco per volta il modo come farai.”
E succedeva così: Ogni mattina, dopo la comunione mi diceva ciò che avrei dovuto fare nel giorno.
Dirò tutto brevemente, ché dopo tanto tempo è impossibile poter dire tutto.
Certo non ricordo, ma mi pare che la prima cosa che mi diceva necessaria per purificare l'interno del mio cuore, era l'annichilimento di me stessa, cioè l'umiltà.
E proseguiva a dirmi: "Vedi, per fare che nel tuo cuore possa versare le mie grazie, voglio proprio farti capire che da te niente puoi.
Io mi guardo assai bene da quelle anime che attribuiscono a loro stesse ciò che fanno, volendomi fare tanti furti delle mie grazie.
Invece a quelle tali che conoscono se stesse, Io sono largo nel versare a torrenti le grazie mie, sapendo benissimo che niente riferiscono a loro stesse, sono grate a me, ne fanno quella stima che si conviene, vivono con continuo timore che, se non mi corrispondono, posso togliere ciò che ho dato, sapendo che non è cosa loro.
Tutto all'opposto nei cuori che puzzano di superbia, già neppure posso entrare nel loro cuore, perché, gonfio di loro stessi, non c'è luogo dove potermi mettere; le misere non fanno nessun conto delle mie grazie e vanno di caduta in caduta fino alla rovina.
Perciò voglio che in questo giorno faccia continui atti d'umiltà, voglio che tu stia come un bambino legato in fasce che non può muovere né un piede per dare un passo, né una mano per operare, ma aspetta tutto dalla madre, così tu starai vicina a Me come un bambino, pregandomi sempre che ti assista, che ti aiuti, confessando sempre il tuo nulla, insomma, aspettando tutto da Me.”
Quindi cercavo di fare quanto più potevo per contentarlo, m'impicciolivo, m'annichilivo e, a volte, giungevo a tanto da sentire quasi disfatto l'essere mio, in modo che non potevo operare, né dare un passo, neppure un respiro se Lui non mi reggeva.
Poi mi vedevo tanto cattiva che avevo vergogna di farmi vedere dalle persone, conoscendomi la più brutta, come in realtà sono ancora.
Onde quanto più potevo fuggirle, le fuggivo e dicevo fra me stessa: "Oh! se sapessero quanto sono cattiva e se potessero vedere le grazie che il Signore mi sta facendo (io non dicevo niente a nessuno) mentre io sono sempre la stessa; oh come mi avrebbero in orrore!" Onde la mattina, quando andavo di nuovo alla comunione, mi pareva che nel venire in me facesse festa per il contento che sentiva nel vedermi così annientata, mi diceva altre cose sull'annichilimento di me stessa, ma in modi sempre diversi dalla prima volta, io credo che non una, ma centinaia di volte mi abbia parlato e se mi avesse parlato per migliaia di volte, avrebbe tenuto sempre nuovi modi di dire sulla stessa virtù.
Oh! mio Divin Maestro, quanto sei sapiente, ti avessi almeno corrisposto! La dimenticanza dei peccati confessati.
Mi ricordo che una mattina mentre mi parlava sulla stessa virtù, mi disse che per mancanza d'umiltà avevo commesso tanti peccati e che se io fossi stata umile, mi sarei tenuta più vicina a Lui e non avrei fatto tanto male; mi fece capire quanto era brutto il peccato, l'affronto che questo misero vermicciolo aveva fatto a Gesù Cristo, l'ingratitudine orrenda, l’empietà enorme, il danno che ne era venuto all'anima mia.
Ne rimasi tanto sbigottita che non saprei che fare per riparare: facevo qualche mortificazione, ne chiedevo altre al confessore, ma poche me n'erano date, quindi mi sembravano tutte ombre e non facevo altro che pensare ai miei peccati, ma sempre più stretta a Lui.
Avevo tale timore d'allontanarmi e di fare peggio di prima, che io stessa non so esprimerlo.
Non facevo altro, quando mi trovavo con Lui, che dirgli la pena che sentivo per averlo offeso, gli chiedevo sempre perdono, lo ringraziavo ch'era stato tanto buono con me, gli dicevo di cuore: "Vedi, oh Signore, il tempo che ho perduto, mentre potevo amarti!" Onde non sapevo dire altro che il male grave che avevo fatto.
Finalmente, un giorno, riprendendomi, mi disse: "Non voglio che ci pensi.
Quando un'anima si è umiliata, convinta d'avere fatto male, ha lavato l'anima sua nel sacramento della confessione ed è pronta a morire anziché offendermi, è un affronto alla mia misericordia, è un impedimento a stringerla all'amore mio, se la sua mente cerca sempre d'involgersi nel fango passato, m'impedisce ancora di farle prendere voli verso il cielo, perché cerca di pensare sempre con quelle idee racchiuse in se stessa.
E poi, vedi, Io non ricordo più niente, me ne sono perfettamente dimenticato.
Ci vedi tu qualche rancore od ombra da parte mia?”
Ed io gli dicevo: "No, Signore, sei tanto buono.”
Ma mi sentivo spezzare il cuore per la tenerezza.
"Ebbene, vorrai portare tu innanzi queste cose?”
Ed io: "No, no, non voglio.”
E Lui: "Pensiamo ad amarci a vicenda ed a contentarci.”
D'allora in poi non ci pensai tanto, facevo quanto più potevo per contentarlo e lo pregavo che Lui stesso m'insegnasse il modo come fare per riparare il tempo passato.
Per non giudicare il prossimo.
E Lui mi diceva: "Sono pronto a fare quel che tu vuoi.
Vedi, la prima cosa che ti dissi che volevo da te, era l'imitazione della mia vita, dunque vediamo che cosa ti manca.”
"Signore", gli dicevo, "mi manca tutto, non ho niente.”
Ebbene mi diceva: "Non temere, a poco a poco faremo tutto, conosco Io stesso quanto sei debole, ma è da Me che devi prendere forza.”
(non ricordo esattamente, ma dirò come posso) E soggiungeva: "Voglio che sia sempre retta nel tuo operare, con un occhio guarda Me e con l'altro occhio quello che stai facendo; voglio che le creature ti scompaiano affatto.
Se sei comandata, non guardare le persone, no, ma devi pensare che Io stesso voglio che tu faccia quel che ti viene comandato, quindi coll'occhio fisso in Me, non giudicherai nessuno, non guarderai se la cosa è penosa o gustosa, se puoi o non puoi farla, chiudendo gli occhi a tutto questo, li aprirai per guardare Me solo, mi porterai teco insieme, pensando che ti sto guardando fisso, mi dirai: "Signore solo per te lo faccio, per te solo voglio operare, non più schiava delle creature.”
Onde se cammini, se operi, se parli, in qualunque cosa che farai, il solo tuo fine dev'essere di piacere a Me solo.
Oh! quanti difetti eviterai se farai così!" Altre volte mi diceva: "Voglio pure che se le persone ti mortificano, t'ingiuriano, ti contraddicono, tu abbia lo sguardo ancora fisso in Me, pensando che di propria bocca ti sto dicendo: "Figlia, sono proprio Io che voglio che soffri questo, non le creature; allontana da loro lo sguardo, fa’ che ci sia solo Io sempre in te, distruggi (in te) ogni altra cosa.
Vedi, voglio renderti bella per mezzo di queste sofferenze, ti voglio arricchire di meriti, lavorare l'anima tua, renderti simile a Me.
Tu mi farai un presente, mi ringrazierai affettuosamente, sarai grata a quelle persone che ti danno occasione di soffrire, ricompensandole di qualche benefizio.
Così facendo, camminerai retta innanzi a Me, tutte le cose non ti daranno più inquietudine e godrai sempre pace.”
La Carità e la mortificazione della propria volontà.
Dopo qualche tempo che cercai d'esercitarmi in queste cose, un po' facendo e un po' cadendo (sebbene veda chiaro che ancora mi manca questo spirito di rettitudine e sono sempre più confusa pensando a tanta mia ingratitudine), mi parlò e mi fece capire la necessità dello spirito di mortificazione.
(Ricordo che in tutte queste cose che mi diceva, mi soggiungeva sempre che tutto doveva essere fatto per amore suo e che le virtù più belle, i sacrifizi più grandi, sarebbero stati insipidi se non avessero avuto principio dall'amore; “la carità” — mi diceva — “è una virtù che dà vita e splendore a tutte le altre, in modo che, senza di essa, sono tutte morte; l'occhio mio non riceve alcun attrattivo e sul mio cuore non hanno alcuna forza; sta’ dunque attenta e fa’ che le tue opere, anche le minime, siano investite dalla carità, cioè, in Me, con Me e per Me”).
Dunque riprendiamo a parlare della mortificazione.
"Voglio", mi diceva, "che tutte le cose tue, anche necessarie siano fatte per spirito di sacrificio.
Vedi, le tue opere non possono essere riconosciute da Me come mie, se non hanno l'impronta della mortificazione.
Come la moneta non è riconosciuta dai popoli se non contiene in se stessa l'immagine del loro re, anzi viene disprezzata e non curata, così è delle tue opere, se non hanno l'innesto con la mia croce non possono avere alcun valore.
Vedi, adesso non si tratta di distruggere le creature, ma te stessa, di farti morire per vivere in Me solamente e della mia stessa vita.
E' vero che ti costerà di più di quello che hai fatto, ma fatti coraggio, non temere, non tu farai, ma Io opererò in te.”
Quindi ricevevo altri lumi sull'annichilazione di me stessa e mi diceva: "Tu non sei altro che un’ombra, mentre fai per prenderla ti sfugge, tu sei niente.”
Mi sentivo tanto annientata, che avrei voluto nascondermi nei più cupi abissi, ma mi vedevo impossibilitata a farlo, provavo tale rossore che ne restavo muta.
Mentre stavo in questo disfacimento del mio nulla, Egli mi diceva: "Fatti vicino a Me, appoggiati al mio braccio, Io ti sosterrò con le mie mani e tu riceverai fortezza.
Tu sei cieca, ma la mia luce ti servirà di guida.
Vedi, mi metterò innanzi e tu non farai altro che guardarmi per imitarmi.”
Poi mi diceva: "La prima cosa che voglio che mortifichi è la tua volontà, quell’io si deve distruggere in te, voglio che la sacrifichi come vittima innanzi a Me, per fare che la tua volontà e la mia formino una sola.
Non ne sei tu contenta?”
Sì, Signore, ma dammi la grazia, ché, da me, veda che niente posso.
E Lui continuava a dirmi: "Sì, Io stesso ti contraddirò in tutto, a volte per mezzo delle creature.”
E succedeva così.
Per esempio: Se la mattina mi svegliavo e subito non mi alzavo, la voce interna mi diceva: "Tu riposi ed Io non ebbi altro letto che la croce, presto, presto, non tanta soddisfazione.”
Se camminavo e la vista scorreva un po' lontano, subito mi riprendeva: "Non voglio che allontani la tua vista da te più della lunghezza d'un passo dall’altro, per fare che non inciampi.”
Se mi trovavo nella campagna e vedevo fiori, alberi, mi diceva: "Io ho creato tutto per amore tuo e tu priva la tua vista di questo diletto per amore mio.”
Anche per le cose più innocenti e sante, come per esempio i parati degli altari, le processioni, mi diceva: "Non altro piacere devi prendere che in Me solo.”
Se stavo seduta mentre lavoravo mi diceva: "Stai troppo comoda, non ti ricordi che la mia vita fu un continuo penare, e tu, e tu?”
Subito, per contentarlo mi mettevo sulla metà della sedia e lasciavo vuota l'altra metà e qualche volta, per scherzo, gli dicevo: "Vedi oh Signore, la metà della sedia è vuota, vieni a sederti vicino.”
Qualche volta mi pareva che mi contentasse e provavo tanto gusto che non so dirlo io stessa.
Mentre poi alcune volte stavo lavorando, un po' lenta e svogliata, mi diceva: "Presto, aiutati, che il tempo che guadagnerai coll'aiutarti verrai a stare insieme con Me nell'orazione.”
Alcune volte Lui stesso mi assegnava il lavoro che dovevo fare.
Io poi lo pregavo che venisse ad aiutarmi.
"Sì, sì", mi rispondeva, "faremo insieme tutti e due perché, quando avrai finito, resteremo più liberi.”
E succedeva che in un'ora, in due ore facevo quello che avrei dovuto fare tutto il giorno, dopo poi me ne andavo a fare orazione e mi dava tanti lumi e mi diceva tante cose che il volerle dire sarebbe troppo lungo.
Mi ricordo che mentre stavo sola, lavorando, vedevo che non bastava il filo per compiere quel lavoro ed avevo bisogno d'andare alla famiglia per prenderlo, mi volgevo a Lui e gli dicevo: "A che pro, amato mio, l’avermi aiutato?
Mentre vedo che ho bisogno d'andare alla famiglia posso trovare persone che mi impediscano di venire un'altra volta e questa volta la nostra conversazione potrebbe andare a vuoto.”
"Che?”
mi diceva.
"E tu hai fede?”
Sì.
"Ebbene, non temere, ché ti farò compiere tutto.”
E così succedeva e poi mi mettevo a pregare.
Se poi veniva l'ora del pranzo e mangiavo qualcosa gustosa, subito internamente mi riprendeva dicendo: "Hai forse dimenticato che Io non ebbi altro gusto che patire per amore tuo?
E che tu non devi avere altro gusto che nel mortificarti per amore mio?
Lascialo e mangia ciò che più non ti è gradito.”
Ed io subito lo prendevo e lo portavo alla persona di servizio, oppure dicevo che non ne volevo più e molte volte rimanevo quasi digiuna, ma quando andavo all'orazione ricevevo tanta forza e mi sentivo tanta sazietà, che avevo nausea d'ogni cosa.
Altre volte poi per contraddirmi, se non avevo voglia di mangiare, mi diceva: "Voglio che mangi per amore mio e mentre il cibo si unisce al corpo, così prega che il mio amore si unisca all'anima tua e ogni cosa resterà santificata.”
In una parola, senza andare per le lunghe, anche nelle minime cose cercava di far morire la mia volontà, per fare che vivessi solo a Lui.
Permetteva di farmi contraddire anche dal confessore, come per esempio: sentivo un gran desiderio di fare la comunione, tutto il giorno e la notte non facevo altro che prepararmi, gli occhi non si potevano chiudere al sonno per i continui palpiti del cuore, gli dicevo: "Signore, fa’ presto che non posso stare senza di Te, accelera le ore, fa’ spuntare presto il sole che io più non posso, il cuore mi vien meno.”
Lui stesso mi faceva certi inviti amorosi che mi sentivo crepare il cuore, mi diceva: "Vedi, Io sto solo, non ti prendere pena se non puoi dormire, si tratta di fare compagnia al tuo Dio, al tuo Sposo, al tuo Tutto, che è continuamente offeso, deh! non negarmi questo sollievo, ché poi nelle tue afflizioni Io non lascio te.”
Mentre stavo con queste disposizioni, la mattina andavo al confessore e, senza sapere il perché, la prima cosa che mi diceva era: "Non voglio che tu faccia la comunione.”
Dico la verità, mi riusciva tanto amaro, che a volte non facevo altro che piangere, al confessore non ardivo dire niente, perché così voleva Lui stesso che facessi, altrimenti mi avrebbe rimproverata; ma me ne andavo da Lui e gli dicevo la mia pena: "Ah! mio bene, questa è la veglia che abbiamo fatto questa notte, che dopo tanto aspettare e desiderare, dovevo restare priva di Te?
Conosco bene che devo ubbidire, ma dimmi un po', posso stare senza di Te?
Chi mi darà la forza?
E poi, chi avrà coraggio di partire da questa chiesa senza portarti insieme?
Io non so che fare, ma Tu puoi rimediare a tutto.”
Mentre così mi sfogavo, mi sentivo venire un fuoco vicino, entrare una fiamma nel cuore, lo sentivo dentro di me e subito mi diceva: "Chétati, chétati, eccoti sono già nel tuo cuore, di che temi adesso?
Non affliggerti più, Io stesso ti voglio asciugare le lacrime, hai ragione, tu non potevi stare senza di Me, non è vero?”
Io poi restavo tanto annientata in me stessa, gli dicevo che se io fossi stata buona, Lui non avrebbe disposto così e lo pregavo di non lasciarmi più, ché senza di Lui non ci volevo stare.
La meditazione della Passione.
Dopo queste cose, un giorno dopo la comunione me lo sentivo in me tutto amore e che tanto mi voleva bene che io stessa ne restavo tanto meravigliata, ché mi vedevo così cattiva ed incorrispondente e dicevo dentro di me: "Fossi buona almeno e corrispondessi, ho timore che mi lasci (questo timore che mi lasciasse l’ho avuto sempre e l’ho ancora e a volte, è tanta la pena che sento, che credo che la pena della morte sarebbe minore e, se Lui stesso non viene a quietarmi, non so darmi pace) ed invece vuole stringersi più intimamente a me.”
Mentre così lo sentivo dentro di me, con voce interna mi disse: "Diletta mia, le cose passate non sono state altro che un preparativo, adesso voglio venire ai fatti e, per disporre il tuo cuore a fare quello che voglio da te, cioè, l'imitazione della mia vita, voglio che ti interni nel mare immenso della mia Passione e tu, quando avrai bene capito l'acerbità delle mie pene, l'amore con cui le soffrii, chi sono Io che tanto soffrii e chi sei tu, vilissima creatura, ahi! il tuo cuore non ardirà di opporsi ai colpi, alla croce, che Io, per solo tuo bene, tengo preparata.
Ma anzi al solo pensare che Io, tuo maestro, ho sofferto tanto, le tue pene ti parranno ombre confrontate con le mie, ti sarà dolce il patire e giungerai a non poter stare senza patimenti.”
La natura tremava al solo pensare ai patimenti, lo pregavo che Lui stesso mi desse la forza, ché senza di Lui mi sarei servita dei suoi stessi doni per offendere il donatore.
Onde mi diedi tutta a meditare la Passione e fece tanto bene all'anima mia, che credo, tutto il bene mi sia venuto da quella fonte.
Vedevo la Passione di Gesù Cristo come un mare immenso di luce e i suoi innumerevoli raggi mi ferivano tutta, cioè, raggi di pazienza, d'umiltà, d'ubbidienza e di tante altre virtù; mi vedevo tutta circondata da questa luce e ne restavo annichilita nel vedermi così diversa da Lui.
Quei raggi che m’inondavano, erano tanti rimproveri per me, mi sentivo dire: "Un Dio paziente, e tu?
Un Dio umile e sottomesso anche a suoi stessi nemici, e tu?
Un Dio che soffre tanto per amore tuo e le tue sofferenze dove sono per amore suo?
Lui stesso a volte mi faceva la narrazione delle pene da Lui sofferte, ne restavo tanto commossa, che piangevo amaramente.
Un giorno mentre lavoravo, stavo considerando le pene acerbissime che soffrì il mio buono Gesù, sentivo il mio cuore tanto oppresso dalla pena, che mi mancava la respirazione, temendo qualcosa, volli distrarmi coll'uscire fuori al balcone, feci per guardare in mezzo alla strada, ma che vidi?
Vidi la strada tutta piena di gente e in mezzo il mio amante Gesù con la croce sulle spalle; chi lo tirava da una parte e chi dall'altra, tutto affannoso, col volto grondante sangue, alzò gli occhi verso di me in atto di chiedermi aiuto.
Chi potrà dire il dolore che provai, l’impressione che fece sull'anima mia una vista così compassionevole?
Subito entrai in casa, non sapevo io stessa dove mi trovavo, mi sentivo spezzare il cuore per il dolore, gridavo piangendo, gli dicevo: "Mio Gesù, ti potessi almeno aiutare! Ti potessi liberare da quei lupi così arrabbiati! Ahi! vorrei almeno soffrire quelle pene in vece tua, per dare un sollievo al tuo dolore.
Deh! mio bene, dammi il patire, ché non è giusto che Tu tanto soffra, ed io, peccatrice, stia senza penare.”
D'allora in poi, ricordo si accese in me tanta brama di patire che non si è smorzata ancora.
Ricordo ancora che dopo la comunione, lo pregavo ardentemente che mi concedesse il patire e Lui, a volte per contentarmi mi pareva che prendesse le spine dalla sua corona e mi pungesse il cuore, altre volte mi sentivo prendere il cuore tra le sue mani e me lo stringeva tanto forte, che per il dolore mi sentivo perdere i sensi.
Quando mi resi conto che le persone potevano notare qualcosa e Lui era disposto a darmi queste pene, subito gli dissi: "Signore, che fai?
Ti prego di darmi il patire, ma che sia nascosto a tutti.”
Fino ad un tempo mi contentò, ma i miei peccati mi hanno resa indegna di patire di nascosto, senza che nessuno se ne avvedesse.
La privazione della presenza sensibile di Gesù e il modo come viverla.
Ricordo che molte volte, dopo la comunione, mi diceva: "Non potrai veramente assomigliare a Me se non per mezzo dei patimenti.
Finora sono stato insieme con te, ora voglio lasciarti un po' sola, senza farmi sentire.
Vedi, finora ti ho portato per mano, insegnandoti e correggendoti su tutto e tu non hai fatto altro che seguirmi.
Adesso voglio che faccia da te stessa, ma, sii più attenta di prima, pensando che Io ti sto fissamente guardando, solo senza farmi sentire, e che quando tornerò a farmi sentire, verrò per premiarti se mi sarai fedele, o per castigarti se mi sarai ingrata.”
Rimanevo tanto spaventata ed atterrita a tale intimazione e gli dicevo: "Signore, mio tutto e mia vita, come potrò sussistere senza di Te, chi mi darà la forza?
Come, dopo che mi hai fatto lasciare tutto, in modo che mi sento come se nessuno esiste per me, mi vuoi lasciare sola ed abbandonata?
Hai forse dimenticato quanto sono cattiva e che senza di Te nulla posso?”
E per questo appunto, prendendo un aspetto più serio, mi soggiungeva: "E' che ti voglio far ben capire chi sei tu.
Vedi, lo faccio per il tuo bene, non ti attristare, voglio preparare il tuo cuore a ricevere le grazie che ho disegnato sopra di te.
Fino adesso ti ho assistito sensibilmente, ora meno sensibilmente, ti farò toccare con mano il tuo nulla, ti fonderò bene nella profonda umiltà per poter edificare sopra di te altissime mure, quindi, invece di affliggerti, dovresti rallegrarti e ringraziarmi, ché quanto più presto ti farò passare il mare tempestoso, tanto più presto giungerai al porto della sicurezza, a quante più dure prove ti assoggetterò, tante grazie più grandi ti darò.
Coraggio, adunque, coraggio e poi verrò presto.”
E nel dirmi così mi pareva che mi benedicesse, poi si allontanava.
Chi potrà dire la pena che sentivo, il vuoto che lasciava nel mio interno, le amare lacrime che versavo?
Mi rassegnavo però alla sua Santa Volontà, pareva che da lontano gli baciassi la mano che mi aveva benedetta, dicendogli: "Addio, oh Sposo Santo, addio.”
Vedevo che tutto per me era finito mentre Lui solo avevo, e che mancandomi Lui, non mi restava nessuna altra consolazione, ma tutto si convertiva in amarissime pene.
Anzi le stesse creature mi stuzzicavano la pena, in modo che tutte le cose che guardavo, pareva che mi dicessero: "Vedi, siamo opere del tuo Amato, e Lui, dov'è?”
Se guardavo l’acqua, il fuoco, i fiori, anzi le stesse pietre, subito il pensiero diceva: "Ah! queste sono opere del tuo Sposo.
Ah! loro hanno il bene di vederlo e tu non lo vedi.
Deh! opere del mio Signore, datemi notizie, ditemi, dove si trova?
Mi disse che sarebbe venuto presto, ma chissà quando?”
A volte giungevo a tanta amara desolazione, che mi sentivo mancare la respirazione, gelare tutta ed avvertivo un fremito per tutta la persona.
A volte se ne accorgeva la famiglia e l'attribuiva a male corporale e voleva farmi mettere in cura, chiamare medici; a volte tanto insisteva che il medico giungeva, ma io facevo quanto più potevo per starmene sola, sicché poche volte si accorgeva.
Mi ricordavo ancora tutte le grazie, le parole, le correzioni, i rimproveri, vedevo con occhio chiaro che tutto l'operato fin qui, tutto, tutto era stato opera della sua grazia e che di me non restava altro che il puro niente e l'inclinazione al male; toccavo con mano che senza di Lui, non sentivo più l'amore così sensibile, quei lumi così chiari nella meditazione, in modo che restavo due o tre ore, ma facevo quanto più potevo per fare quello che facevo quando lo sentivo, perché mi sentivo ripetere quelle parole: "Se mi sarai fedele verrò per premiarti, se ingrata, per castigarti.”
Così passavo, quando due giorni, quando quattro, più o meno come a Lui piaceva.
L'unico mio conforto era riceverlo in sacramento...
Ah! sì, certo, lì lo trovavo, non potevo dubitare, ricordo che poche volte non si faceva sentire, perché tanto lo pregavo, ripregavo ed importunavo che mi contentava, ma non amoroso e amabile, ma severo.
Dopo che passavo quei giorni in quello stato detto sopra, specialmente se gli ero stata fedele, me lo sentivo ritornare dentro di me, mi parlava più chiaramente, e siccome nei giorni passati non avevo potuto concepire dentro di me né una parola, né sentire niente, così ora venivo a conoscere che non era la mia fantasia come molte volte prima dicevo, tanto che di ciò che ho detto fin qui, non dicevo niente né al confessore né ad altra anima vivente, ma facevo quanto più potevo per corrispondergli, ché altrimenti mi faceva tanta guerra che non avevo pace.
Ah Signore! sei stato tanto buono con me ed io così cattiva ancora.
Seguitando ciò che avevo cominciato, me lo sentivo dentro di me, l'abbracciavo, me lo stringevo, gli dicevo: "Amato Bene, vedi quanto mi è riuscita amara la nostra separazione.”
E Lui mi diceva: "E' niente ciò che hai passato, preparati a prove più dure; perciò sono venuto, per disporre il tuo cuore e fortificarlo.
Adesso mi dirai tutto ciò che hai passato, i tuoi dubbi e timori, tutte le tue difficoltà per poterti insegnare il modo di comportarti nella mia assenza.”
Quindi gli facevo la narrazione delle mie pene dicendogli: "Signore, vedi, senza di Te non ho potuto fare niente bene, ho fatto la meditazione distrattamente, brutta, tanto che non avevo coraggio di offrirtela nella comunione, non ho potuto stare le ore intere come quando ti sentivo, mi vedevo sola, non avevo con chi potevo intendermela, mi sentivo tutta vuota, la pena della tua assenza mi faceva provare agonie mortali, la natura voleva sbrigarsi subito per sfuggire quella pena, tanto più che mi sembrava di non fare altro che perdere tempo, col timore, che Tu, tornando, mi castigassi perché non ero stata fedele, quindi non sapevo che fare.
E poi, la pena che Tu sei continuamente offeso e che non sapendo il quando, come prima mi insegnavi a fare quegli atti di riparazione, quelle visite al Santissimo Sacramento per le diverse offese che Tu ricevi.
Dunque, dimmi un po’ come dovevo fare?
E Lui benignamente, ammaestrandomi, diceva: 1º.- "Tu hai fatto male nello stare così disturbata, non sai tu che Io sono Spirito di pace e la prima cosa che ti raccomando è di non funestare la pace del cuore?
Quando nell'orazione non puoi raccoglierti, non voglio che pensi a questo o a quell'altro, com'è e come non è, facendo così, tu stessa chiami la distrazione.
Invece quando ti trovi in quello stato la prima cosa é che ti umili, confessandoti meritevole di quelle pene, mettendoti come un umile agnellino nelle braccia del carnefice, che mentre l'uccide gli lambisce la mano; così tu, mentre ti vedrai percossa, abbattuta, sola, ti rassegnerai alle mie sante disposizioni, mi ringrazierai di tutto cuore, mi bacerai quella mano che ti percuote, riconoscendoti, poi, indegna di quelle pene, mi offrirai quelle amarezze, angustie, tedii, pregandomi che li accetti come un sacrificio di lode, di soddisfazione delle tue colpe, di riparazione delle offese che mi fanno.
Facendo così, la tua orazione salirà innanzi al mio trono come un incenso odorosissimo, ferirà il mio cuore, ti attirerai nuove grazie e nuovi carismi; il demonio, vedendoti umile e rassegnata, tutta inabissata nel tuo nulla, non avrà forza di avvicinarsi.
Ecco che dove tu credevi di perdere, farai grandi acquisti.
2º.- Riguardo alla comunione, non voglio che ti affligga che non sai stare, sappi che è un’ombra delle pene che soffrii nel Getsemani, che sarà quando ti farò partecipe dei flagelli, delle spine e dei chiodi?
Il pensiero delle pene maggiori ti farà soffrire con più coraggio le pene minori; quindi, quando nella comunione ti troverai sola, agonizzante, pensa che ti voglio un poco in compagnia nell’agonia dell'orto.
Dunque mettiti vicino a Me e fa’ un confronto tra le tue e le mie pene, vedi, tu sola e priva di Me, ed Io anche solo, abbandonato dai più fedeli amici che se ne stanno addormentati, lasciato solo fin dal mio Divino Padre, poi in mezzo a pene acerbissime, circondato da serpi, da vipere, da cani arrabbiati, quali erano i peccati degli uomini e dove erano anche i tuoi che facevano la loro parte, che mi pareva che mi volessero divorare vivo, il mio cuore fu preso da tali strettezze che me lo sentivo come se stesse sotto un torchio, tanto che sudai vivo sangue.
Dimmi, quando tu sei giunta a soffrire tanto?
Dunque, quando ti trovi priva di Me, afflitta, vuota d'ogni consolazione, piena di tristezze, di affanni, di pene, vieni vicino a Me, asciugami quel sangue, offrimi quelle pene in sollievo della mia amarissima agonia.
Così facendo troverai il modo come poterti trattenere con Me dopo la comunione; non che non soffrirai, perché la pena più amara che possa dare alle anime mie care, è il privarle di Me, ma tu pensando che con quel tuo penare darai sollievo a Me, sarai anche contenta.
3º.- Per le visite ed atti di riparazione, tu devi sapere che tutto ciò che feci nel corso dei trentatré anni, dacché nacqui finché morii, lo sto continuando nel Sacramento dell'altare, perciò voglio che mi visiti 33 volte al giorno, onorando i miei anni ed unendoti insieme a Me nel Sacramento con le mie stesse intenzioni, cioè di riparazione, di adorazione...
Questo lo farai in tutti i tempi: Il primo pensiero della mattina subito voli innanzi alla custodia dove sono per amore tuo e mi visiti l'ultimo pensiero della sera, mentre dormirai la notte, prima e dopo il pasto, in principio d'ogni tua azione, camminando, lavorando.”
Mentre così mi diceva, mi vedevo tutta confusa e, non sapendo se potevo riuscire a farle, gli dicevo: "Signore, ti prego, stammi vicino finché prendo l'abitudine a farle, ché conosco che con Te tutto posso, ma senza di Te, che posso fare io miserabile?
E Lui benignamente soggiungeva: "Sì, sì, ti contenterò, quando mai ti sono mancato?
Voglio la tua buona volontà, ché ti darò qualunque aiuto tu voglia.”
E così faceva.
La battaglia feroce coi demoni.
Dopo che fu passato del tempo, quando con Lui e quando priva, un giorno, dopo la Comunione, mi sentii più intimamente unita a Lui che mi faceva varie domande, come per esempio: se gli volevo bene, se ero pronta a fare ciò che Lui voleva, anche il sacrificio della vita per amore suo; mi diceva ancora: "E tu dimmi che vuoi, se tu sei pronta a fare ciò che voglio, anche Io farò ciò che vuoi tu.”
Io mi vedevo tutta confusa, non intendevo quel suo modo di operare, ma col tempo ho capito che quel modo di agire è quando vuole disporre l'anima a nuove e pesanti croci e la sa tirare tanto a Sé con quegli stratagemmi, che l'anima non può ardire opporsi a ciò che Lui vuole.
Dunque gli dicevo: "Sì che ti voglio bene, ma dimmi Tu stesso, posso trovare oggetto più bello, più santo, più amabile di Te?
E poi, perché domandarmi se sono pronta a fare ciò che Tu vuoi, mentre da tanto tempo che ho consegnato la mia volontà e ti ho pregato che non mi risparmi anche a farmi in pezzi, purché possa darti gusto?
Io m'abbandono in Te oh Sposo Santo, opera liberamente, fa’ di me ciò che vuoi, dammi la tua grazia, ché da me nulla sono e niente posso.”
E mi ripeteva: "Veramente sei pronta a tutto ciò che voglio?”
Io mi vedevo più confusa, annientata e dicevo: "Sì, sono pronta.”
Ma quasi tremante e Lui, compassionandomi, seguiva a dirmi: "Non temere, sarò tua forza, non soffrirai tu, ma Io soffrirò e combatterò in te.
Vedi, voglio purificare l'anima tua da ogni minimo neo che potrebbe impedire l'amore mio in te, voglio provare la tua fedeltà, ma come posso vedere se ciò è vero, se non col metterti in mezzo alla battaglia?
Sappi dunque che voglio metterti in mezzo ai demoni, darò loro libertà di tormentarti e di tentarti, affinché quando avrai combattuto le virtù coi vizi opposti, già tu ti trovi in possesso di quelle stesse virtù che crederai di perdere e dopo l'anima tua purgata, abbellita, arricchita, sarà come un re che viene vincitore da una fierissima guerra, che mentre credeva di perdere quello che aveva, se ne ritorna invece più glorioso e ripieno di immense ricchezze.
Ed allora verrò Io, formerò in te la mia dimora e staremo sempre insieme.
E' vero che sarà doloroso il tuo stato, i demoni non ti daranno più pace, né giorno, né notte, staranno sempre in atto di muoverti fierissima guerra, ma tu abbi sempre la mira a quello che voglio fare di te, cioè di farti simile a me e che a ciò non potrai giungere se non per mezzo di molte e grandi tribolazioni, così starai con più coraggio a sostenere le pene.”
Chi può dire come rimasi spaventata a tale annunzio?
Mi sentivo gelare il sangue, arricciare i capelli, la mia immaginazione era piena di neri spettri che pareva che mi volessero divorare viva.
Mi pareva che il Signore, prima di mettermi in questo stato doloroso, desse libertà a tutto ciò che dovevo soffrire e mi vedevo da tutto circondata ed allora mi rivolsi a Lui e gli dissi: "Signore, abbi pietà di me! Deh! non lasciarmi sola e abbandonata, vedo che è tanta la rabbia dei demoni che non lasceranno di me neppure la polvere, come potrò resistere?
A Te è ben noto la mia miseria e quanto sono cattiva, dunque dammi nuova grazia per non offenderti.
Mio Signore, la pena che strazia più l'anima mia, è il vedere che anche Tu devi lasciarmi.
Ah! a chi potrò dire più una parola, chi mi deve insegnare?
Ma sia fatta sempre la tua Volontà, benedico il tuo Santo Volere.
E Lui benignamente così riprese a dire: "Non t'affliggere tanto, sappi che mai permetterò che ti tentino sopra le tue forze, se ciò permetto, è per tuo bene.
Non metto mai le anime nelle battaglie per fare che periscano, prima misuro le loro forze, dono loro la mia grazia e poi le introduco e, se qualche anima precipita, è perché non si tiene unita a Me con la preghiera, non provando più la sensibilità del mio amore va mendicando amore dalle creature, mentre Io solo posso saziare il cuore umano, non si lascia guidare dalla via sicura dell'obbedienza, credendo più al giudizio proprio, che a chi la guida in vece mia.
Dunque, qual meraviglia se precipita?
Quindi quel che ti raccomando è la preghiera, ancorché dovessi soffrire pene di morte, mai devi tralasciare quel che sei solita fare, anzi quanto più ti vedrai nel precipizio, tanto più invocherai l'aiuto di chi può liberarti.
Inoltre voglio che ti metta ciecamente nelle mani del confessore, senza esaminare quello che ti viene detto, tu sarai circondata da tenebre e sarai come uno che non ha occhi e che ha bisogno di una mano che la guidi, l'occhio per te sarà la voce del confessore che, come luce, ti rischiarerà le tenebre, la mano sarà l'ubbidienza che ti sarà di guida e di sostegno per farti giungere a porto sicuro.
L'ultima cosa che ti raccomando è il coraggio, voglio che con intrepidezza entri nella battaglia, la cosa che fa più temere un esercito nemico è il vedere il coraggio, la fortezza, il modo con cui disfidano i più pericolosi combattimenti, senza nulla temere.
Così sono i demoni, nulla più temono che un'anima coraggiosa, tutta appoggiata a Me, con animo forte va in mezzo a loro non per essere ferita, ma con risoluzione di ferirli e di sterminarli; i demoni restano spaventati, atterriti e vorrebbero fuggire, ma non possono, perché legati dalla mia Volontà e sono costretti a starvi per loro maggior tormento.
Dunque non temere loro, ché niente possono farti senza il mio Volere.
E poi, quando ti vedrò che non puoi più resistere e starai per venir meno, se tu mi sarai fedele, subito verrò e metterò tutti in fuga e ti darò grazia e fortezza.
Coraggio, dunque coraggio.”
Ora, chi può dire il cambiamento che avvenne nel mio interno?
Tutto era orrore per me, quell’amore che prima sentivo in me, ora me lo vedevo convertito in odio atroce, che pena non poterlo più amare! Mi straziava l'anima pensare che quel Signore che era stato tanto buono con me, ora ero costretta ad aborrirlo, a bestemmiarlo come se fosse il più crudele nemico, il non poterlo guardare neppure nelle sue immagini, ché al guardarle, al tenere corone fra le mani, al baciarle, mi venivano tali impeti di odio e tanta forza, che farle e mettere tutto in pezzi era lo stesso, e a volte facevo tanta resistenza, che la natura tremava da capo a piedi.
Oh Dio, che pena amarissima! Io credo che se nell'inferno, non ci stessero più pene, la sola pena di non poter amare Dio, formerebbe l'inferno più orribile.
Molte volte i demoni mi mettevano innanzi le grazie che il Signore mi aveva fatto, ora come un lavorio della mia fantasia, e quindi poter menare una vita più libera, più comoda ed ora come vere e mi rimproveravano col dire: "Questo è il bene che ti voleva?
Questa è la ricompensa?
Ti ha lasciato nelle nostre mani, sei nostra, sei nostra, per te tutto è finito, non c’è più da sperare.”
E nell'interno mi sentivo gettare tali impeti di sdegno contro il Signore e di disperazione, che parecchie volte, se mi trovavo qualche immagine fra le mani, era tanta la forza dello sdegno che la rompevo, ma mentre ciò facevo, piangevo e la baciavo, ma non so dire come ero costretta a farlo.
Ora, chi può dire lo strazio dell'anima mia?
I demoni facevano festa e se la ridevano, chi faceva rumore da un punto, chi dall'altro, chi strepitava, chi m'assordiva coi gridi dicendo: "Vedi come sei nostra, non ci resta altro che portarti all'inferno, anima e corpo e poi vedrai che lo faremo.”
A volte mi sentivo tirare, ora le vesti, ora la sedia dove stavo inginocchiata e, tanto la muovevano e strepitavano, che non potevo pregare e a volte era tanto il timore, che credendo di riuscire a liberarmi, andavo a coricarmi (siccome questi fracassi succedevano il più delle volte di notte), ma anche là mi seguivano col tirarmi il cuscino, le coperte.
Ora, chi può dire lo spavento, la paura che provavo?
Io stessa non sapevo dove mi trovavo, se sulla terra o nell'inferno; era tanto il timore che davvero mi portassero, che gli occhi non si potettero più chiudere al sonno; stavo come uno che tiene un crudele nemico che ha giurato che a qualunque costo gli deve togliere la vita, e questo credevo che mi dovesse succedere al primo chiudere degli occhi; quindi sentivo come se uno mi mettesse una cosa dentro, in modo che ero costretta a tenerli spalancati per vedere quando mi dovevano portare, chissà potessi farmi forza ed oppormi a ciò che volevano fare, quindi mi sentivo sollevare i capelli sulla mia testa uno per uno, un sudor freddo per tutta la persona che mi penetrava fino nelle ossa, mi sentivo disgiungere i nervi e le ossa uno per uno e dibattevano insieme per la paura.
Altre volte mi sentivo incitare a tali tentazioni di disperazione e di suicidio che qualche volta, essendomi trovata vicina al pozzo oppure a qualche coltello, mi sentivo spinta a buttarmi dentro oppure a prendere il coltello e ad uccidermi, ed era tanta la forza che dovevo avere per fuggire, che mi sentivo pene di morte e, mentre fuggivo, me li sentivo venire dietro e mi sentivo suggerire che per me era inutile vivere, dopo avere commesso tanti peccati, Iddio mi aveva abbandonata perché non ero stata fedele, anzi vedevo che avevo fatto tante scelleratezze che mai anima al mondo aveva commesso, quindi, per me non c’era più misericordia da sperare.
Nel fondo dell'anima mia mi sentivo ripetere: "Come puoi vivere nemica di Dio?
Sai tu qual è quel Dio che hai tanto oltraggiato, bestemmiato, odiato?
Ah! quel Dio immenso ti circondava dappertutto e tu, sotto i suoi occhi stessi, hai ardito offenderlo.
Ah! perduto il Dio dell'anima tua, chi ti darà più pace?
Chi ti libererà da tanti nemici?”
Era tanta la pena che non facevo altro che piangere.
A volte mi mettevo a pregare e i demoni, per accrescere il mio tormento, me li sentivo venire sopra e chi mi percuoteva, chi mi pungeva e chi soffocava la gola.
Una volta ricordo che mentre pregavo, mi sentii tirare i piedi da sotto la terra, aprirsi ed uscire le fiamme ed io stavo per sprofondare; fu tale lo spavento ed il dolore, che rimasi mezza morta tanto che, per riavermi da quello stato, venne Gesù Cristo e mi rincuorò, mi fece capire che non era vero che avevo messo la volontà ad offenderlo e che io stessa lo potevo conoscere dalla pena amarissima che sentivo, che il demonio era un bugiardo e che non dovevo dargli retta, che per ora dovevo avere pazienza a soffrire quelle molestie e che poi sarebbe venuta la pace.
Così succedeva di tanto in tanto quando proprio giungevo agli estremi e, a volte, per mettermi in più aspri tormenti.
Nell'atto di quel conforto l'anima si convinceva, perché innanzi a quella luce è impossibile che l'anima non apprenda la verità, ma dopo che mi trovavo nella lotta, mi trovavo allo stesso stato di prima.
Mi tentava ancora a non fare la comunione, persuadendomi che dopo che avevo commesso tanti peccati, era una baldanza andarvi e che se avessi ardito, non Gesù Cristo sarebbe venuto ma il demonio e che tanti tormenti mi avrebbe dato che mi avrebbe dato la morte, ma l'ubbidienza la vinceva, è vero che a volte soffrivo pene mortali, sicché a stento potevo riavermi dopo la comunione, ma siccome il confessore voleva che assolutamente la facessi, non potevo fare diversamente.
Ma ricordo che parecchie volte non la feci.
Ricordo pure che a volte mentre pregavo la sera, mi smorzavano la lampada; a volte mettevano ruggiti tali da fare spavento; altre volte voci flebili come se fossero moribondi, ma chi può dire tutto ciò che facevano?
E' impossibile.
Quindi questo duro cimento, sebbene non ricordi tanto bene, durò tre anni, ma c’erano i giorni, le settimane d'intervallo poi non che cessarono del tutto, ma incominciarono a mitigarsi.
Ricordo che dopo una comunione, il Signore m'insegnò il modo come dovevo fare per metterli in fuga, dovevo disprezzarli e non curarli affatto e fare quel conto come se fossero tante formiche.
Mi sentii infondere tanta forza che non sentivo più quel timore di prima.
E facevo così: quando facevano strepiti, rumore, dicevo loro: "Si vede che non avete che fare e che per passare il tempo state facendo tante sciocchezze; fate, fate, poi quando vi stancherete smetterete.”
A volte cessavano, altre volte si arrabbiavano tanto e facevano più forti rumori.
Me li sentivo vicino mentre si facevano più forti e violenti per portarmi, sentivo la puzza orribile, il calore del fuoco.
È vero che nel mio interno sentivo un certo brivido, ma mi facevo forza e dicevo: "Bugiardi che siete, se ciò fosse vero, dal primo giorno l'avreste fatto, ma siccome è falso e non avete nessuno potere su di me se non quello che vi viene dato dall’alto, perciò cantate e cantate e poi quando vi stancherete creperete.”
Se poi facevano lamenti e gridi, dicevo loro: "Non avete avuto acconti oggi?”
Ossia: "Vi è stata tolta qualche anima perciò vi lamentate?
Poveretti, non si sentono bene, ma voglio pur io farvi lamentare un altro poco.”
E mi mettevo a pregare per i peccatori oppure a fare atti di riparazione.
A volte me la ridevo quando incominciavano a fare le solite cose e dicevo loro: "Come posso temervi, razze vili?
Se foste esseri seri non avreste fatto tante sciocchezze, voi stessi non vi vergognate, non vi fate prendere a burla?”
Se poi mi tentavano di bestemmie o di odio contro Dio, Gli offrivo quella pena amarissima, quella forza che mi facevo, ché mentre vedevo che il Signore meritava tutto l'amore, tutte le lodi, io ero costretta a fare il contrario, in riparazione di tanti che lo bestemmiano liberamente e che neppure si ricordano che esiste un Dio, che sono obbligati a riamarlo.
Se mi incitavano a disperazioni, nel mio interno dicevo: "Non mi curo né del paradiso, né dell'inferno, quel che mi preme è amare il mio Dio, questo non è tempo di pensare ad altro, anzi è tempo d'amare quanto più posso il mio buon Dio, metto nelle Sue mani il paradiso ed l'inferno, Lui che è tanto buono mi darà quel che a me più conviene e mi darà un luogo dove possa più glorificarlo.”
Per non avere dubbi se si offende Dio o no.
M'insegnò Gesù Cristo che il mezzo più efficace per fare che l'anima resti libera da ogni vana apprensione, da ogni dubbio, da ogni timore, era il professare innanzi al Cielo, alla terra ed agli stessi demoni, di non voler offendere Dio, anche a costo della propria vita, di non voler consentire a qualunque tentazione del demonio e questo, appena l'anima avverte che viene la tentazione, se può nell'atto della battaglia, appena s'incomincia a sentire libera ed anche tra il corso del giorno.
Facendo così, l'anima non perderà tempo a pensare se sia o no consentito, che il solo ricordarsi della professione, già le restituirà la calma e se il demonio cercherà d'inquietarla, potrà rispondergli che se avesse avuto intenzione d'offendere Iddio, avrebbe professato il contrario e così resterà salva da ogni timore.
Ora, chi può dire la rabbia del demonio?
Tutte le sue astuzie riuscivano a sua confusione e dove credeva di guadagnare ci perdeva e l'anima si serviva delle sue stesse tentazioni ed artifizi per poter fare atti di riparazione ed amore al suo Dio.
L'altro modo che m'insegnò nello scacciare le tentazioni era il seguente: se mi tentavano di suicidio io dovevo rispondere: "Non avete alcun permesso da Dio, anzi a vostro dispetto voglio vivere per poter più amare il mio Dio.”
Se poi mi percuotevano e mi battevano, io mi dovevo umiliare, inginocchiare e ringraziare il mio Dio ché ciò succedeva in penitenza dei miei peccati, non solo, ma offrire tutto come atti di riparazione a tutte le offese a Dio che si facevano nel mondo.
Finalmente una brutta tentazione che mi durò poco fu che al contatto continuo di circa un anno e mezzo con così brutti demoni, io dovessi uscire incinta e partorire poi un piccolo demonio con le corna.
La fantasia si allevava così che io mi vedevo innanzi una confusione orribile per quel che si sarebbe detto di me per sì brutto avvenimento.
Finalmente finì dopo circa un anno e mezzo di questa lotta, finirono le crudezze dei demoni e cominciò una vita tutta nuova, però i demoni non cessarono di molestarmi di tanto in tanto, ma non erano così frequenti, non così fiera la battaglia ed io mi avvezzai a disprezzarli.
Termina la battaglia coi demoni.
Gesù e Maria chiedono a Luisa di offrirsi come vittima di riparazione per i tanti peccati.
La vita nuova cominciò alla Masseria detta "Torre Disperata.”
Un giorno, mentre più che mai ero stata tormentata dal demonio, tanto che mi sentivo perdere le forze e venir meno, la sera mentre così stavo mi sentii venire una cosa mortale e perdetti i sensi, in questo stato vidi Gesù Cristo circondato da tanti nemici, chi lo batteva, chi lo schiaffeggiava, chi gli conficcava le spine nella testa, chi gli spezzava le gambe, chi le braccia.
Dopo che lo ridussero quasi in pezzi, lo deposero nelle braccia della Madonna, questo succedeva un poco lontano da me.
Dopo che la Vergine Santissima se lo prese fra le braccia, si avvicinò a me e, piangendo, mi disse: "Figlia, vedi come il mio Figlio è trattato dagli uomini, le orribili offese che commettono non gli danno mai tregua, guardalo come soffre.”
Ed io cercavo di guardarlo e lo vedevo tutto sangue, tutto piaghe e quasi trinciato, ridotto ad uno stato mortale, sentivo tale pena che avrei voluto mille volte morire anziché vedere tanto soffrire il mio Signore, mi vergognavo delle mie piccole sofferenze.
La Santissima Vergine soggiunse, ma sempre piangendo: "Avvicinati a baciare le piaghe del mio Figlio, Lui ti sceglie come vittima e se tanti l'offendono, tu, con l’offrirti a soffrire ciò che Lui soffre, gli darai un ristoro in tanto penare.
Non l'accetti tu?”
Io mi sentivo tanto annientata, mi vedevo tanto cattiva (qual sono ancora) e indegna, che non ardivo dire "Sì".
La natura tremava, mi sentivo tanto debole per le pene passate, che appena avevo un filo di vita.
Poi, non so come, da lontano vedevo i demoni che strepitavano tanto e che tutto ciò che avevo veduto fare al Signore lo avrebbero fatto a me se avessi accettato.
In me stessa sentivo tali pene, dolori, stiramenti di nervi, che io credevo di dover lasciare la vita.
Finalmente mi avvicinai e gli baciai le piaghe, pareva che, fatto ciò, quelle membra così lacerate si risanassero ed il Signore, che prima pareva quasi morto, incominciava a tornare a nuova vita.
Internamente ricevevo tali lumi sulle offese che si fanno e attrazioni di accettare d'essere vittima ancorché dovessi soffrire mille morti, ché il Signore tutto meritava e io non avrei potuto oppormi a ciò che Lui voleva.
Questo succedeva mentre si stava in muto silenzio.
Ma in quegli sguardi che a vicenda ci davamo, erano tanti inviti, tante saette infocate che mi passavano il cuore.
La Santissima Vergine specialmente mi spronava ad accettare, ma chi può dire tutto ciò che passai?
Finalmente il Signore, guardandomi benignamente, mi disse: "Tu hai visto quanto mi offendono e quanti camminano le vie dell'iniquità, tanto che, senza avvedersi, precipitano nell'abisso.
Vieni ad offrirti innanzi alla divina giustizia come vittima di riparazione delle offese che si fanno e per la conversione dei peccatori, che ad occhi chiusi bevono alla fonte avvelenata del peccato.
Un largo campo di sofferenze ti si apre dinanzi, sì, ma anche di grazie, Io non ti lascerò più, verrò in te a soffrire tutto ciò che mi fanno gli uomini, facendoti parte delle mie pene.
Per aiuto e conforto ti do mia Madre.”
E pareva che a Lei mi consegnasse ed Essa mi accettava.
Io pure mi offrii tutta a Lui e alla Vergine, pronta a fare ciò che voleva e così finii la prima volta.
Dopo che mi riebbi da quello stato, mi sentivo tali pene, tale annientamento di me stessa che mi vedevo come un misero vermicciolo che non sapeva fare altro che strisciare la terra e dicevo al Signore: "Aiuto, la tua onnipotenza mi atterra, vedo che se Tu non mi sollevi, il mio niente si disfa e va a disperdersi.
Dammi il patire, ma ti prego dammi la forza, ché mi sento morire.”
E così incominciò un alternarsi di visite di Nostro Signore e di tormenti da parte dei demoni; quanto più mi rassegnavo, tanto più la loro rabbia aumentava.
Partecipazione alla Coronazione di spine.
Pochi giorni dopo quanto detto di sopra, mi sentii un'altra volta perdere i sensi (ricordo che in principio ogni qualvolta che mi sentivo venire un tale stato, credevo di dover lasciare la vita).
Mentre perdetti i sensi si fece vedere un'altra volta Nostro Signore con la corona di spine in testa, tutto grondante sangue e, rivolto a me, disse: "Figlia, vedi un po' ciò che mi fanno gli uomini, in questi tristi tempi è tanta la loro superbia che hanno infestato tutta l'aria ed è tanta la puzza che si sparge ovunque, che è giunta fino innanzi al mio trono nell’empireo.
Fanno in modo che loro stessi si chiudono il Cielo; i miseri non hanno occhi per conoscere la verità, perché offuscati dal peccato della superbia col seguito degli altri vizi che portano con sé.
Deh! dammi un sollievo a tanti acerbi spasimi ed una riparazione a tanti torti che mi si fanno.”
Ed in così dire si tolse la corona, che non pareva corona ma tutto un pezzo, in modo che neppure una minima particella della testa restava libera, ma tutta veniva trapassata da quelle spine.
Mentre si toglieva la corona si avvicinò a me e mi domandò se l'accettavo.
Io mi sentivo tanto annichilita, provavo tali pene delle offese che si fanno che mi sentivo spezzare il cuore e gli dissi: "Signore, fa’ di me ciò che vuoi.”
E così la prese, la conficcò sulla mia testa e disparve.
Ora, chi può dire gli spasimi che provai nel ritornare in me stessa?
Ad ogni movimento del capo credevo di spirare, tanti erano i dolori, le punture che sentivo nella testa, negli occhi, nelle orecchie, dietro alla nuca, sentivo penetrare quelle spine persino nella bocca e si stringeva in modo che non potevo aprirla per prendere il cibo perciò stavo quando due e quando tre giorni senza poter prendere niente.
Quando si mitigavano in qualche modo, mi sentivo una mano sensibile che mi premeva il capo e mi rinnovava le pene e, a volte, erano tanti gli spasimi che per il dolore perdevo i sensi.
Da principio questo succedeva certi giorni sì, certi no, a volte si replicavano tre, quattro volte al giorno, a volte duravano un quarto d’ora o mezz’ora, oppure un'ora e poi restavo libera, solo che mi sentivo molto debole e sofferente, a misura che in quello stato d’assopimento mi erano state comunicate le pene, così restavo più o meno sofferente.
Per la prima volta la famiglia vede Luisa cadere nel suo stato di sofferenze e di perdita dei sensi.
Ricordo ancora che siccome certe volte per le sofferenze della testa, come ho detto sopra, non potevo aprire la bocca per prendere il cibo e siccome la famiglia sapeva che non avevo tanta voglia di stare in campagna, quindi, quando vedevano che non mangiavo, me l'attribuivano a capriccio e, naturalmente, s'irritavano, s'inquietavano e mi motteggiavano.
La natura voleva risentirsi di questo, perché vedevo che non era vero ciò che loro dicevano, ma il Signore non voleva questo risentimento ed ecco come successe.
Una sera, mentre si stava a tavola ed io ero nello stato di non poter aprire la bocca, la famiglia incominciò ad inquietarsi, io lo sentivo tanto che incominciai a piangere e, per non essere vista, m'alzai e me ne andai ad un'altra parte seguitando a piangere, pregavo Gesù Cristo e la Vergine Santissima che mi dessero aiuto e forza a sopportare questo cimento.
Ma mentre facevo ciò sentii che incominciavo a perdere i sensi.
Oh Dio! che pena il solo pensare che mi avrebbe vista la famiglia che fino allora non s’era accorta di niente! In questo mentre: "Signore, gli dicevo, non permettere che mi vedano.”
Ed io avevo tale vergogna d'essere vista che non so dire il perché e cercavo quanto più potevo di nascondermi in luoghi dove non potevo essere veduta; quando poi ero sorpresa all'improvviso, in modo che non avevo tempo di nascondermi o almeno d'inginocchiarmi, ché come mi trovavo, in quella posizione restavo e potevano dire che stavo a pregare, allora poi ero scoperta.
Mentre perdetti i sensi si fece vedere Nostro Signore in mezzo a tanti nemici che gli recavano ogni sorta d'insulti, specialmente lo pigliavano e lo calpestavano sotto i piedi, lo bestemmiavano, gli tiravano i capelli, mi pareva che il mio buon Gesù volesse fuggire da sotto quelle fetide piante, ed andava guardando, sperando di trovare una mano amica che lo liberasse, ma non trovava nessuno.
Mentre vedevo ciò, io non facevo altro che piangere sulle pene del mio Signore, avrei voluto andare in mezzo a quei nemici per liberarlo, ma non ardivo; gli dicevo: "Signore fammi parte delle tue pene.
Deh! potessi sollevarti e liberarti!" Mentre dicevo ciò, quei nemici come se avessero inteso, vennero contro di me, ma tanto arrabbiati ed incominciarono a percuotermi, a tirarmi i capelli, a calpestarmi, io avevo tale timore, soffrivo, sì, ma dentro di me ero contenta ché vedevo dare al Signore un po' di tregua.
Dopo quei nemici scomparvero e io restai sola col mio Gesù.
Io cercai di compatirlo, ma non ardivo dirgli niente e Lui, rompendo il silenzio, mi disse: "Tutto ciò che tu hai visto è niente a confronto di quelle offese che continuamente mi fanno, è tanta la loro cecità, l'ingolfamento delle cose terrene che giungono a divenire non solo crudeli nemici miei, ma anche di loro stessi e, siccome l'occhio loro è fisso nel fango, perciò giungono a disprezzare l'Eterno.
Chi metterà un riparo a tanta ingratitudine?
Chi avrà compassione di tanta gente che mi costa sangue e che vive quasi sepolta nel lezzo delle cose terrene?
Deh! vieni con me, prega e piangi insieme per tanti ciechi che sono tutt’occhi per tutto ciò che dà di terra e poi disprezzano e calpestano le mie grazie sotto i loro immondi piedi come se fossero fango.
Deh! sollevati sopra tutto ciò che é terra, aborrisci e disprezza tutto ciò che a me non appartiene, non ti facciano più impressione gli insulti che ricevi dalla famiglia dopo che mi hai visto tanto soffrire.
Ma ti stia solo a cuore l'onore mio, le offese che continuamente mi fanno, la perdita di tante anime.
Deh! non lasciarmi solo in mezzo a tante pene che mi straziano il cuore, tutto ciò che tu soffri adesso è poco in confronto a quelle pene che soffrirai, non te l'ho detto sempre che quello che voglio da te é l'imitazione della mia vita?
Vedi un po' quanto sei dissimile da Me, perciò fatti coraggio e non temere.”
Dopo questo ritornai in me stessa ed allora avvertii che ero circondata dalla famiglia che piangeva e stava tutta in disturbo ed aveva tale timore che si replicasse quello stato, specialmente che morissi, che fece quanto più presto poté per ricondurmi in Corato, onde farmi osservare dai medici, non so dire il perché sentivo tale pena nel pensare che dovevo essere visitata dai medici, che molte volte piangevo e mi lamentavo col Signore dicendogli: "Quante volte, oh Signore, ti ho pregato che mi facessi patire nascosta, era questo il mio solo ed unico contento e adesso anche di questo sono priva.
Deh!, dimmi come farò?
Tu solo puoi aiutarmi e sollevarmi nella mia afflizione, non vedi quante ne dicono, chi la pensa in un modo e chi un altro, chi vuole farmi applicare un rimedio e chi un altro, sono tutt’occhi sopra di me, in modo che non mi danno più pace.
Deh! soccorrimi in tante pene, ché mi sento mancare la vita.”
Ed il Signore benignamente soggiunse: "Non volerti affliggere per questo, quello che voglio da te è che ti abbandoni come morta fra le mie braccia.
Fino a tanto che tu hai gli occhi aperti per guardare ciò che faccio Io e ciò che fanno e dicono le creature, Io non posso liberamente operare su di te.
Non vuoi fidarti di Me?
Non sai tu il bene che ti voglio, tutto ciò che permetto, o per mezzo delle creature, o per parte dei demoni, o direttamente da Me, è per tuo vero bene e non serve ad altro che a condurre l'anima a quello stato a cui Io l'ho eletta.
Perciò voglio che ad occhi chiusi ti stia fra le mie braccia senza guardare ed investigare questo o quell'altro, fidandoti interamente di Me e lasciandomi liberamente operare.
Se poi vuoi fare l'opposto, perderai tempo e verrai ad opporti a ciò che voglio fare di te.
In riguardo alle creature, usa profondo silenzio, sii benigna e sottomessa a tutti, fa’ che la tua vita, il tuo respiro, i tuoi pensieri ed affetti, siano continui atti di riparazione che placano la mia giustizia, offrendomi insieme le molestie delle creature che non saranno poche.”
Dopo questo feci quanto più potetti per rassegnarmi alla Volontà di Dio, sebbene molte volte fossi messa a tali strettezze da parte delle creature, che a volte non facevo altro che piangere.
Giunse anche il tempo di farmi visitare dal medico, che giudicò non essere altro che un fatto nervoso, onde ordinò medicine, distrazioni, passeggiate, bagni freddi, raccomandò alla famiglia che mi guardasse bene quando ero sorpresa da quello stato, perché diceva: “se la muovete la potete spezzare e non aggiustare”, ché io quando ero sorpresa da quello stato, restavo impietrita.
Guerra da parte della famiglia.
Onde si suscitò una guerra da parte della famiglia: m'impediva d'andare alla chiesa, non dava più quella libertà di starmene sola, ero guardata da per ogni dove e più spesso se ne accorgeva.
Molte volte mi lamentavo col Signore dicendogli: "Mio buono Gesù, quanto sono aumentate le mie pene, anche delle cose a me più care sono priva, quali sono i sacramenti.
Non ci avevo mai pensato che sarei giunta a questo.
Ma chissà dove andrò a finire! Deh! dammi aiuto e fortezza, ché la natura viene meno.”
Molte volte si benignava di dirmi qualche parola.
Ora mi diceva: "Sono Io in tuo aiuto, di che temi?
Non ti ricordi che anch'Io soffrii da parte di ogni specie di gente, chi la pensava su di Me in un modo e chi in un altro, le cose più sante che Io facevo erano giudicate da loro difettose, cattive, fino a dirmi che ero un indemoniato, tanto che mi guardavano con occhi torvi, mi tenevano in mezzo a loro, ma di malo umore e macchinavano tra loro quanto più presto potevano togliermi la vita, ché la mia presenza era diventata per loro intollerabile.
Dunque non vuoi tu che ti faccia simile a Me facendoti soffrire da parte delle creature?”
Così passai parecchi anni soffrendo da parte delle creature, da demoni e direttamente da Dio, a volte giungevo a tanta amarezza da parte delle creature, del modo come la pensavano che avevo vergogna di farmi vedere da qualunque persona.
Tanto che il mio più grande sacrificio era il comparire in mezzo a persone, tanto era il rossore e la confusione che mi sentivo istupidire.
Ci furono altre visite di altri medici, ma non riuscirono a nulla, a volte versando amare lacrime Gli dicevo con tutto il cuore: "Signore, come si sono rese pubbliche le mie sofferenze non solo alla famiglia, ma anche agli estranei, mi vedo tutta coperta di confusione, mi pare che tutti mi segnino a dito, come se queste sofferenze fossero le più cattive azioni, io stessa non so dire che cosa mi succede.
Deh! Tu solo puoi liberarmi da tale pubblicità e farmi patire nascosta.
Ti prego, Ti scongiuro, esaudiscimi.”
A volte anche il Signore faceva mostra di non ascoltarmi, ed aumentavano le mie pene, alle volte poi mi compativa dicendomi: "Povera figlia, vieni a Me che ti voglio consolare, tu hai ragione ché soffri; ma non ti ricordi tu che anch'io, oh! quanto più soffrii?
Fino a un certo punto furono nascoste le mie pene, ma quando la Volontà del Padre giunse a farmi patire in pubblico, prontamente uscii ad incontrare confusioni, obbrobri, disprezzi, fino ad essere spogliato, nudo in mezzo ad un popolo numerosissimo, potresti tu immaginare confusione più grande di questa?
La mia natura sentiva molto questa specie di sofferenze, ma avevo l'occhio fisso alla Volontà del Padre ed offrivo quelle pene in riparazione di tanti, che commettono le più nefande azioni pubblicamente, ad occhi aperti menandone vanto senza il minimo rossore, perciò gli dicevo: "Padre, accetta le confusioni e gli obbrobri miei in riparazioni di tanti che hanno la sfacciataggine d'offenderti così liberamente senza il minimo dispiacere; perdonali, da’ loro lume affinché vedano la bruttezza del peccato e si convertano.”
Voglio fare partecipe anche te di questa specie di sofferenze.
Non sai tu che i più bei regali che posso dare alle anime che amo sono le croci e le pene?
Tu sei bambinella ancora nella via della croce, perciò ti senti troppo debole, quando ti sarai fatta grande ed avrai conosciuto quanto è prezioso il patire, allora ti sentirai più forte.
Perciò appoggiati a Me, riposati, così acquisterai fortezza.”
Luisa a letto.
Il confessore interviene per la prima volta per liberarla.
Dopo che passai qualche tempo in questo stato detto sopra, cioè circa sei o sette mesi, le sofferenze si accrebbero di più, tanto che fui costretta a starmene nel letto, spesso si moltiplicava quello stato di perdere i sensi, tanto che non avevo neppure un'ora libera, mi ridussi ad uno stato di estrema debolezza, la bocca si strinse in modo che non la potevo aprire affatto ed in qualche momento libero che avevo, appena qualche goccia di qualche bevanda potevo prendere, se pure mi riusciva, e poi ero costretta a rimetterla per i continui vomiti che ho avuto sempre.
Dopo che stetti circa diciotto giorni in questo stato continuo, si mandò a chiamare il confessore per confessarmi.
Quando venne il confessore mi trovò nello stato d'assopimento.
Quando mi riebbi mi domandò che cosa avessi, io gli dissi solamente qualcosa, tacendo tutto il resto, e siccome allora continuavano sia gli strapazzi dei demoni sia le visite di Nostro Signore, quindi gli dissi: "Padre, è il demonio.”
Lui mi disse: “non aver paura, ché non è il demonio e se fosse lui il padre ti libererebbe”.
Così dandomi l'ubbidienza, segnandomi con la croce ed aiutandomi a sciogliere le braccia, ché mi sentivo tutto il corpo impietrito come se fosse divenuto tutto un pezzo, gli riuscì di restituirmi il moto alle braccia, di farmi aprire la bocca che prima era divenuta immobile a tutto.
Questo io l'attribuii alla santità del mio confessore, che veramente era un santo sacerdote, lo tenni quasi per un miracolo, tanto che dicevo fra me stessa: "Vedi, ero preparata a morire.”
Ché in realtà mi sentivo male e, se fosse durato quello stato, io credo che avrei lasciato la vita.”
Sebbene ricordo che fossi rassegnata e che quando mi vidi libera provai un certo rincrescimento ché non ero morta.
Quindi dopo che il confessore se ne andò ed io rimasi libera ritornai allo stato di prima.
E così successe che passavo, quando le settimane, i quindici giorni, ed anche i mesi che ero sorpresa da quello stato di tanto in tanto nella giornata e da me stessa riuscivo a liberarmi; quando poi ero sorpresa molto spesso come ho detto di sopra, allora la famiglia mandava a chiamare il confessore, tanto più che aveva visto la prima volta che ero rimasta libera, (tutti credevano che non mi sarei più riavuta da quello stato, ed invece scesi alla chiesa e mi rimisi allo stato di prima), così mandava a chiamare il confessore ed allora restavo libera.
Ma non mi passò mai per la mente che ad un tale stato ci volesse il sacerdote per liberarmi, né che il mio male fosse una cosa straordinaria; è vero che quando perdevo i sensi vedevo Gesù Cristo, ma questo l'attribuivo alla bontà di Nostro Signore e dicevo fra me stessa: "Vedi quanto è buono il Signore verso di me, che in questo stato di sofferenze viene a darmi la forza, altrimenti come potrei sostenere, chi mi darebbe la forza?”
E' pur vero che quando doveva succedermi un tale stato, la mattina nella comunione me lo diceva, ed in quello stesso stato le sofferenze mi venivano da Lui stesso, ma non davo retta a niente, il solo pensare qualche volta di dirlo al confessore mi faceva pensare che fossi l'anima più superba che fosse nel mondo se ardivo mettere bocca a parlare di queste cose cioè che vedevo Gesù Cristo; provavo tale rossore che fu impossibile dire niente a quel confessore per quanto buono e santo fosse.
Tanto è vero che non credevo che ci volesse il sacerdote per liberarmi, ma ero convinta che ciò succedesse per la santità del confessore.
Quando giunse il tempo che lui (il confessore) se ne andò in campagna, una mattina, dopo la comunione, il Signore mi fece capire che dovevo essere sorpresa da quello stato, m'invito a tenergli compagnia col partecipare alle sue pene ed io subito gli dissi: "Signore come farò, il confessore non ci sta, chi mi deve liberare?
Adesso vuoi forse farmi morire?”
Ed il Signore mi disse solamente: "La tua fiducia dev'essere solo in Me, stai rassegnata, ché la rassegnazione rende l'anima luminosa, fa stare a posto tutte le altre passioni, in modo che Io tirato da quei raggi di luce vado nell'anima e la informo tutta in Me e la faccio vivere della mia stessa Vita.”
Io mi rassegnai alla sua Santa Volontà, offrii quella comunione come l'ultima della mia vita, gli diedi l'ultimo addio a Gesù in sacramento, sebbene rassegnata, ma sentivo tanto la natura, che tutto quel giorno non feci altro che piangere e pregare il Signore che mi desse la forza.
In verità mi riuscì troppo amaro il fatto e, senza pensarlo né saperlo, mi trovai con una nuova e pesante croce che, credo, sia stata la più pesante che ho avuto in mia vita; mentre stavo in quello stato di sofferenze, non pensavo altro che a morire ed a fare la Volontà di Dio.
La mia famiglia che anche soffriva a vedermi in quello stato, cercava di mandare a chiamare qualche sacerdote, ma chi non voleva venire da una parte e chi dall'altra, dopo dieci giorni venne il confessore che mi confessava quando ero piccola e successe che anche quello mi fece riavere da quello stato, ed allora capii la rete in cui il Signore mi aveva involto.
Guerra da parte dei sacerdoti.
Da questo momento ci fu una guerra da parte dei sacerdoti, chi diceva che era finzione, chi che ci volevano le bastonate, altri che volevano farmi credere santa, chi soggiungeva che ero indemoniata e tante altre cose che, dirle tutte, sarebbe troppo lunga la storia.
Onde con queste idee nelle loro menti, quando succedevano le sofferenze e la famiglia mandava a chiamare qualcuno, facevano tante scenate strane[2], che la povera famiglia ha sofferto molto, specialmente la povera mamma, quante lacrime ha versato per me, oh! Signore ricompensala Tu.
Oh! mio buon Signore, quanto ho sofferto da questa parte! Tu solo sai tutto.
Onde chi può dire quanto mi riuscì amaro questo fatto, che per liberarmi da quello stato di sofferenze ci volesse il sacerdote?
Quante volte ho pregato versando lacrime amarissime che mi liberasse! Quante volte ho fatto delle positive resistenze al Signore quando Lui voleva che mi offrissi come vittima ed accettassi le pene ed io gli dicevo: "Signore, promettimi che mi libererai Tu ed allora accetto tutto, altrimenti no, non voglio accettare.”
E resistevo il primo giorno, il secondo, il terzo.
Ma chi può resistere a Dio?
Me ne diceva tante che alfine ero costretta a sottopormi alla croce.
Altre volte gli dicevo di cuore e con confidenza: "Signore come è stato che hai fatto questo?
Come tra me e Te, adesso hai voluto mettere un terzo?
E questo terzo non vuol prestarsi.
Vedi, potevamo stare tanto contenti tutti e due.
Quando mi volevi al patire, io subito accettavo perché sapevo che Tu stesso mi dovevi liberare, adesso ci vuole un'altra mano, Ti prego liberami, ché staremo più contenti tutti e due.”
A volte fingeva di non ascoltarmi e non mi diceva niente, altre volte poi mi diceva: "Non temere, Io sono quello che do le tenebre e la luce, verrà il tempo della luce, è mio solito che manifesti le mie opere per mezzo dei sacerdoti.”
Così passai tre o quattro anni di queste contraddizioni da parte dei sacerdoti, molte volte mi assoggettavano a prove durissime, giungevano a farmi stare in quello stato di sofferenze, cioè impietrita, inabile a qualunque minimo moto, senza poter prendere una goccia d'acqua, diciotto giorni più o meno, quando a loro piaceva.
Lo sa solo il Signore ciò che io passavo in quello stato e, dopo che venivano, non avevo neppure il bene che mi dicessero almeno: “Abbi pazienza, fa’ la Volontà di Dio”.
Ma ero rimproverata come capricciosa e disobbediente.
Oh! Dio che pena, quante lacrime ho versato; quante volte pensavo che ero disobbediente e dicevo fra me: “Come, quella virtù che al Signore è la più gradita è da me tanto lontana, che cosa può far e sperare di bene un'anima disobbediente?”
Molte volte mi lamentavo con Nostro Signore e a volte giungevo fino a risentirmi, e quando voleva che accettassi le sofferenze, resistevo quanto più potevo.
Ma il Signore quando vedeva che incominciavo a resistere faceva vedere che non mi curava e non mi diceva più niente, poi all’improvviso veniva a sorprendermi.
Ciò che poi diceva il confessore è perché a volte non voleva che cadessi in quello stato, ma ciò non stava in mio potere, è pur vero che sono stata disobbediente e che non sono stata mai buona a nulla, ma ricordo pure che la pena più straziante per me era il non poter obbedire.
In questo periodo di tempo, ricordo che ci fu il colera, un giorno pregavo il mio buon Gesù che facesse cessare questo flagello ed Egli mi disse: "Ti contenterò purché accetti d’offrirti a soffrire ciò che voglio Io.”
Gli dissi: "Signore, no, non posso, Tu sai come la pensano, se il fatto passasse tra me e Te solamente, sarei stata prontissima ad accettare tutto.”
Ed Egli mi disse: "Figlia mia, se Io avessi pensato a quello che pensavano e che dovevano fare di Me gli uomini, non avrei operato la Redenzione dell'umano genero, ma Io avevo l'occhio alla loro salvezza e l'amore grande che mi divorava mi faceva fare che quando vedevo persone che di Me pensavano male e che davano occasione di farmi più soffrire, ero pronto a offrire quelle stesse pene che loro mi davano per la loro stessa salvezza.
Ti sei dimenticata che quello che voglio da te è l'imitazione della mia Vita e che di tutto ciò che offri ti farò parte di tutto?
Non sai tu che l'atto più bello, più eroico e più gradito a Me e che devi offrire a me, è quello di offrirti per quegli stessi che ti sono contrari?”
Io restai muta, non seppi che rispondergli, accettai tutto ciò che il Signore voleva e così, fino alla sera, fui sorpresa da quello stato di sofferenze e vi stetti tre giorni continui.
E dopo che mi riebbi seppi che non c’era più il colera.
Dopo questo ebbi un'altra mortificazione e fu il dover cambiare confessore, ché essendo lui religioso fu chiamato in convento.
Io ero contenta di lui e la maggiore parte di quei fracassi detti sopra successero quando lui stava in campagna, specialmente l'ultimo anno quando il confessore, vi dimorò sei mesi, ché nel paese c’era il colera; onde il mio confessore non faceva tante scenate, mi faceva stare un giorno in quello stato di sofferenze e poi veniva.
Cambiamento di confessore.
Quindi non passò neppure un mese da che si era ritirato in campagna e si intese che se ne sarebbe andato; questo fu doloroso per me, non perché fossi legata a lui, ma per la necessità che avevo.
Onde andai dal Signore e gli dissi la mia pena ed Egli mi disse: "Non volerti affliggere per questo, Io sono il padrone dei cuori e posso volgerli e rivolgerli come a Me pare e piace.
Se lui ti ha fatto del bene non è stato altro che un porgitore che riceveva da Me e lo dava a te.
Così farò degli altri, di che temi adunque?
Mia cara, fino a tanto che tu avrai l'occhio or a destra ora a sinistra e lo lascerai posare or su una cosa ed or sull'altra e non avrai l'occhio fisso in Me, non potrai camminare spedita per la via del Cielo.
Ma andrai sempre zoppicando e non potrai seguire l'influsso della grazia.
Perciò voglio che con santa indifferenza guardi tutte le cose che intorno a te succedono, stando tutta intenta a Me solamente.”
Onde dopo queste parole, il mio cuore acquistò tanta forza, che poco o niente soffrì per una tale perdita, che tanto bene aveva fatto all'anima mia.
Così successe che cambiai confessore e ritornai al confessore che mi confessava quand'ero piccola.
Ma sia sempre benedetto il Signore che si serve di quelle stesse vie che sembrano a noi contrarie e che quasi dovrebbero portare danno all'anima nostra, per il maggiore bene nostro e per la sua gloria.
Così avvenne che incominciai ad aprire l'anima mia.
Fino a quel momento non avevo detto niente a nessuno, per quanto sforzo facessi non ci riuscivo, anzi più impotente mi vedevo a dire le cose del mio interno, era tanto il rossore che sentivo al solo pensar di dire queste cose, che pensavo fosse più facile dire i più brutti peccati.
Donde dipendesse, non so dirlo, da parte del confessore credo di no, perché egli era tanto buono, fiducioso, dolce, paziente nel sentire, prendeva una cura esattissima dell'anima, aveva l'occhio su tutto affinché si potesse camminare rettamente.
Da parte mia neppure, perché mi sentivo un intoppo sull'animo ed avevo tutta la volontà di liberarmi e di sentire almeno come la pensava il confessore, ma mi sentivo impossibilitata a farlo.
Per me credo che sia una concessione del Signore.
Onde trovandomi col nuovo confessore, incominciai, a poco a poco ad aprire il mio interno, il Signore molte volte mi comandava che manifestassi al confessore ciò che Lui mi diceva e quando io non lo facevo, il Signore mi riprendeva, mi rimproverava severamente e a volte giungeva a dirmi che se non avessi fatto ciò, Lui non sarebbe più venuto e, questo è per me la pena più amara, ché tutte le altre pene confrontate con questa non mi sembrano altro che fili di paglia.
Perciò, tanto era il timore che veramente non venisse, che facevo quanto più potevo a manifestare il mio interno.
E' vero che a volte mi costava molto ma il timore di perdere il mio caro Gesù mi faceva superare tutto.
Da parte del confessore ero pure spinta a dirgli donde procedesse un tale stato, che cosa mi succedeva quando stavo in quell’assopimento, quale ne era la causa; ora mi comandava a manifestarlo, ora mi costringeva coi precetti d'ubbidienza, ed ora mi metteva innanzi il timore che potessi vivere nell’illusione e nell'inganno, vivendo a me stessa, mentre se manifestassi al sacerdote potrei stare più sicura e tranquilla, perché il Signore non permette mai che il sacerdote s'inganni quando l'anima è obbediente.
Così Gesù Cristo mi spingeva da una parte, il confessore dall'altra, mi pareva a volte che se l'intendessero tutti e due, il confessore e Gesù Cristo.
Così mi riuscii a manifestare l'animo mio.
Ciò non faceva il confessore passato, non mi faceva nessuna domanda, non cercava di sapere che cosa mi succedeva in quello stato d'assopimento, per cui io stessa non sapevo come iniziare a parlare di queste cose.
La cura che si prendeva era che fossi rassegnata, uniformata al Voler di Dio, a sopportare la croce che il Signore mi aveva dato, tanto che se a volte mi vedeva un po’ infastidita soffriva grande dispiacere.
Dunque avvenne che passai circa un altro anno con questo confessore nello stesso stato detto di sopra.
Onde siccome il confessore sapeva donde procedeva quello stato di sofferenza, mi diceva che quando Gesù Cristo voleva che mi venissero le sofferenze, andassi da lui a chiedere l'obbedienza.
Gesù chiede a Luisa di soffrire per “un certo tempo” per liberare gli uomini dai castighi.
Ricordo che una mattina dopo la comunione il Signore mi disse: "Figlia, sono tante le iniquità che si commettono che la bilancia della mia giustizia sta per traboccare.
Ora sappi che pesanti flagelli verserò sopra gli uomini e specialmente una fierissima guerra in cui farò strage della carne umana.
Ah! sì.”
Proseguì quasi piangendo: "Io ho dato i corpi agli uomini acciocché fossero tanti santuari dove avrei dovuto andare e deliziarmi in essi; loro invece li hanno cambiati in cloache di marciume ed è tanto il fetore che mi costringono a stare lontano da essi.
Vedi la ricompensa che ricevo a tanto amore ed a tante pene che ho sofferto per loro?
Chi mai è stato trattato simile a Me?
Ah! nessuno.
Ma quale ne è la causa?
E' il troppo bene che voglio loro.
Perciò proverò coi castighi.”
Io mi sentivo spezzare il cuore per il dolore, mi pareva che tante fossero le offese che gli facevano, che per sfuggire volesse nascondersi in me, quasi per trovare un rifugio.
Sentivo pure tale pena che gli uomini dovessero essere castigati, che mi pareva che non quelli, ma io stessa dovessi soffrire, anzi mi pareva che se io avessi potuto, sarebbe stato più sopportabile soffrirli tutti io quei castighi anziché veder soffrire gli altri.
Cercai di compatirlo quanto più potetti e con tutto il cuore gli dissi: "O! Sposo santo, risparmia i flagelli che la tua giustizia tiene preparati, se la molteplicità delle iniquità degli uomini è grande, vi è il mare immenso del tuo sangue, ove puoi seppellirle e così la tua giustizia resterà soddisfatta.
Se non sai dove andare per deliziarti, vieni in me, ti do tutto il mio cuore, acciocché ti riposi alquanto e ti delizi con esso; è vero che anch'io sono una ricettacolo di vizi, ma Tu mi puoi purificare e far qual Tu mi vuoi.
Ma deh! placati, se è necessario il sacrificio della mia vita, oh! quanto volentieri te lo farei purché vedessi le stesse tue immagine risparmiate.”
Ed il Signore, spezzando il mio parlare, riprese a dirmi: "Proprio qui ti volevo, se tu ti offri a soffrire, non già come fino a questo punto di tanto in tanto, ma continuamente, ogni giorno, per un certo dato tempo, Io risparmierò gli uomini.
Vedi come farò, ti metterò in mezzo tra la mia giustizia e le iniquità delle creature, e quando la mia giustizia si vedrà piena delle iniquità, in modo da non poterle contenere e sarà costretta a mandare i fulmini dei flagelli per castigare le creature, trovando te in mezzo, invece di colpire loro resterai colpita tu.
In questo sol modo potrò contentarti di risparmiare gli uomini, diversamente no.”
Io restai tutta confusa, non sapevo che dirgli, la natura faceva la sua parte, si spaventava e tremava, ma vedevo il mio buon Gesù che attendeva una risposta, se accettavo o no, allora vedendomi quasi costretta a parlare gli dissi: "O! Divinissimo Sposo mio, da parte mia sarei pronta ad accettare, ma come si rimedierà da parte del confessore, se non vuol venire di tanto in tanto, come può essere possibile che venga ogni giorno?
Liberami da questa croce, che ci vuole il confessore per liberarmi, ed allora tutto sarà combinato tra me e Te.”
Allora il Signore mi disse: "Va’ dal confessore e domandagli l'ubbidienza, se vuole gli dirai tutto ciò che ti ho detto e starai a ciò che lui dice.
Vedi, non sarà solamente per bene delle creature che voglio queste sofferenze continue, ma anche per tuo bene, in questo stato di sofferenze purificherò ben bene l'animo tuo, in modo da disporti a formare con Me un mistico sposalizio e, dopo questo, darò l'ultima trasformazione in modo che diventeremo tutti e due, come due ceri che messi sul fuoco, uno si trasforma nell'altro e se ne forma uno solo, così trasformerò Me in te e tu resterai crocifissa con Me.
Ah! non saresti tu contenta se potessi dire: Lo Sposo crocifisso ma anche la sposa crocifissa?
Ah! sì, non c'è nessuna cosa che da Lui mi rende dissimile.”
Onde, quando potetti parlare col confessore gli dissi tutto ciò che il Signore mi aveva detto, e siccome quella parola che il Signore mi aveva detto: "Per un certo dato tempo", senza notificarmi il tempo preciso in cui dovevo stare continuamente a soffrire, fu preso da me per una quarantina di giorni più o meno; e invece sono circa dodici anni che continuo a stare, ma sia benedetto sempre Iddio, siano adorati sempre i suoi imperscrutabili giudizi, io credo che se il Signore benedetto m'avesse fatto capire con chiarezza la lunghezza del tempo che avrei dovuto stare nel letto, la mia natura si sarebbe molto spaventata e difficilmente si sarebbe assoggettata, sebbene ricordo che sono stata sempre rassegnata, ma non conoscevo allora la preziosità della croce come il Signore mi ha fatto conoscere nel corso di questi dodici anni, né il confessore si sarebbe adattato a darmi l'ubbidienza.
Onde così dissi al confessore, che il Signore voleva che mi desse l'ubbidienza di stare continuamente a soffrire per una quarantina di giorni, e gli dissi tutto il resto.
Con mia sorpresa, perché io lo credevo impossibile, il confessore mi disse che se fosse stata veramente Volontà di Dio, lui mi avrebbe dato l'ubbidienza e che in realtà non è che non si poteva venire, ma piuttosto era per un po' di rispetto umano.
L'anima mia molto si rallegrò perché avrei potuto contentare il Signore e così risparmiare le creature, ma la natura molto si afflisse nel sentirsi data quest'obbedienza, tanto che per qualche giorno fui molto contristata, anche nell’anima sentivo molto la tristezza a pensare che avrei dovuto stare tanto tempo senza poter ricevere Gesù in sacramento, solo ed unico mio conforto; a volte mi sentivo una guerra tanto fiera in me, che io stessa non sapevo che cosa mi fosse avvenuto, molte cose vi aggiungeva pure il demonio, ma il mio buon Gesù rimediò a tutto ed ecco come avvenne.
I quattro modi coi quali Gesù parla a Luisa.
Passo a dire altro, per ordine del confessore attuale io ubbidisco a manifestare i vari modi con cui il Signore mi ha parlato: A me pare che i modi con cui Iddio mi parla siano quattro, ma questi quattro modi di parlare di Gesù sono assai diversi dalle ispirazioni.
1.-Il primo modo è quando l'anima esce fuori di sé.
Voglio però prima spiegare meglio com’è questo uscire fuori di me stessa.
Questo avviene in due modi: il primo è istantaneo, quasi un baleno, ed è così repentino che a me pare che il corpo si sollevi un po' dal letto per seguire l'anima, ma poi rimane lì, ed a me pare che il corpo sia morto, l'anima invece segue Gesù camminando per tutto l'universo, la terra, l'aria, i mari, i monti, il purgatorio ed il Cielo, ove tante volte mi fa vedere il posto ove io starò dopo morta.
L'altro modo di uscire dell’anima poi è più quieto, pare che il corpo si sopisca insensibilmente e resti come impietrito alla presenza di Gesù Cristo, ma l'anima rimane col corpo, ed il corpo non sente più nulla delle cose esterne, anche se si sconvolgesse tutto l'universo, anche se mi bruciassero e mi facessero a pezzi.
Questi due modi di uscire fuori di me stessa, cosi diversi, io li ho notati sensibilmente perché nel primo modo, dovendo io obbedire al confessore che vieni a destarmi, l'ho visto dal luogo ove mi conduce Gesù; cioè, dai confini della terra, o dell'aria, o dei monti, o dal mare, o dal purgatorio, o anche dallo stesso Paradiso, anzi mi pare di non fare in tempo a far trovare l'anima nel corpo dal confessore e quindi temo di non poter obbedire, e pare che così di lontano, come io mi trovo coll'anima, mi pare, dico di affaccendarmi tutta, di angosciarmi e di affliggermi se mai non faccio in tempo a farmi trovare dal confessore, e perciò a non ubbidire, ma confesso che mi sono trovata sempre in tempo, e mi pare che l'anima entri nel corpo, prima che il confessore cominci a darmi l'obbedienza di destarmi.
Anzi dico la verità, tante volte io vedo di lontano il confessore che vieni, ma per non lasciare Gesù, pare che non pensi al confessore, ed allora Gesù stesso mi premura a tornare coll'anima nel corpo per poter obbedire al confessore; ed allora io mi sento una gran ripugnanza di lasciare Gesù, ma l'obbedienza vince, e, lasciando Gesù, Egli stesso, o mi bacia o mi abbraccia, o fa altra cosa per licenziarsi da me.
Ed io, lasciando il mio caro Gesù, gli dico: "Vado al confessore, ma Tu mio buon Gesù, torna presto appena il confessore se ne andrà.”
Questi dunque sono i due modi con cui l'anima pare che esca dal corpo, ed in questi due modi di uscire dell’anima, Iddio mi parla.
Questo modo di parlare, Egli stesso lo chiama parlare intellettuale.
Mi ingegnerò di spiegarlo: L'anima dunque uscita dal corpo, e trovandosi innanzi a Gesù, non ha bisogno di parole per intendere ciò che il Signore le vuol dire, né l'anima ha bisogno di parlare per farsi intendere, ma per mezzo dell’intelletto, oh! quanto ci intendiamo benissimo quando ci troviamo insieme! Da una luce che da Gesù mi viene nell'intelletto, mi sento imprimere tutto ciò che il mio Gesù vuol farmi capire.
Questo modo è molto alto e sublime, tanto che la natura difficilmente sa adattarsi a spiegarlo con le parole, può appena dire qualche idea, questo modo di farsi intendere di Gesù, è rapidissimo, in un semplice istante si apprendono molte cose sublimi che leggendo libri interi.
Oh! quanto è maestro ingegnosissimo Gesù, che in un semplice istante insegna molte cose, ad un altro ci vorrebbero anni interi, se pure vi riesce, perché il maestro terreno non ha potenza di poter attirare la volontà del discepolo, né di poter infondere (le nozioni) nella mente senza sforzo e fatica, ma in Gesù no, tanta è la sua dolcezza, l'amabilità del suo tratto, la soavità del suo parlare, e poi è tanto bello, che l'anima appena lo vede si sente tanto attratta, che a volte è tanta la velocità con cui corre verso Gesù, che senza quasi avvedersi, si trova trasformata nell'oggetto amato, in modo che l'anima non sa discernere più il suo essere terreno, tanto resta immedesimata nel Essere Divino.
Chi può dire ciò che l'anima prova in questo stato?
Ci vorrebbe Gesù stesso, oppure un'anima separata perfettamente dal corpo, perché l'anima trovandosi un'altra volta circondata dal muro di questo corpo e perdendo quella luce che prima la teneva inabissata, perde molto e vi resta oscurata, sicché se volesse provare a dire qualcosa, non potrebbe dirla che rozzamente.
Per darne un'idea, dico che m'immagino un nato cieco, che non ha mai avuto il bene di vedere ciò che c’è nell'universo intero, se per pochi minuti avesse il bene d'aprire gli occhi alla luce e potesse vedere tutto ciò che si trova nel mondo: il sole, il cielo, il mare, le tante città, le tante macchine, le varietà dei fiori e le tante altre cose che ci sono nel mondo, e dopo quei pochi minuti di luce ritornasse alla cecità di prima, potrebbe costui dire distintamente tutto ciò che ha visto?
Potrebbe far un abbozzo, dire qualcosa in maniera confusa.
Ora, una simile cosa succede quando l'anima si trova separata (dal corpo), e poi rientra nel corpo, non so se dico spropositi, come a quel povero cieco resterebbe la pena della perduta vista; così l'anima, vive gemente e quasi in un stato violento, perché l'anima si sente fortemente spinta sempre verso il sommo Bene, è tanto il desiderio che Gesù resti nell'anima, che l'anima vorrebbe stare sempre attratta nel suo Dio.
Ma ciò non può essere e perciò si vive come se si vivesse in purgatorio.
Aggiungo che l'anima non ha niente di suo in questo stato, è tutta operazione che fa il Signore.
Ora m'ingegnerò di spiegare il secondo modo che tiene Gesù nel parlare.
L'anima trovandosi fuori di se stessa, vede la persona di Gesù Cristo, come per esempio da bambino, o crocifisso o in qualunque altro atteggiamento, e l'anima vede che il Signore pronunzia dalla sua bocca le parole e l'anima dalla sua bocca risponde, a volte succede che l'anima si mette a conversare con Gesù come farebbero due intimi sposi.
Sebbene il parlare di Gesù sia parchissimo, appena quattro o cinque e a volte anche una sola parola, rarissime volte si diffonde qualche poco.
Ma in quel pochissimo parlare, ah! quanta luce introduce nell'anima, mi sembra di vedere a prima vista un piccolo ruscello, ma guardando bene, invece d'un ruscello vedo un vastissimo mare, così è una sola parola detta da Gesù, è tanta l'immensità della luce che resta nell'anima, che ruminandola ben bene vi scorge tante cose sublimi e profittevoli all'anima sua, che ne rimane stupita.
Io credo che se si unissero insieme tutti i sapienti, resterebbero tutti confusi e muti ad una sola parola di Gesù.
Ora questo modo è più confacevole all'umana natura, e facilmente si sa manifestare, perché l'anima entrando in se stessa si porta con sé ciò che ha sentito dire dalla bocca di Nostro Signore e lo comunica al corpo, non riesce così facile quando è per mezzo dell’intelletto.
Io ritengo che Gesù tiene questo modo di parlare per adattarsi all'umana natura, non che abbia bisogno di parola per farsi intendere, ma perché l'anima capisca più facilmente questo modo e possa manifestarlo al confessore.
Insomma, Gesù fa come un maestro dottissimo, sapiente, intelligente, che possiede in grado eminentissimo tutte le scienze e che nessuno può eguagliarlo, ma siccome si trova tra discepoli che non hanno imparato ancora le prime sillabe dell'alfabeto, ritenendo tutto in sé gli altri studi, insegna ai discepoli l’abbiccì, eccetera.
Oh! quanto è buono Gesù, si adatta ai dotti e parla loro in modo altissimo, in modo che per capirlo devono studiare ben bene ciò che dice loro, si adatta agli ignoranti e si finge Lui anche ignorantello e parla in modo basso, in modo che nessuno può restare digiuno della lezione di questo Divin Maestro.
Il terzo modo con cui Gesù mi parla è quando, parlando, partecipa all’anima la sua stessa sostanza.
A me sembra che come quando creò il mondo con una sola parola del Signore furono create le cose, così essendo la sua parola creatrice, nell'atto stesso in cui dice la parola già crea nell'anima quella stessa cosa che dice, come per esempio Gesù dice all'anima: "Vedi quanto sono belle le cose, per quanto l'occhio tuo può scorrere sulla terra e nel cielo, mai troverai bellezza simile a Me.”
In questo dire di Gesù l'anima si sente entrare in sé un certo che di divino, l'anima resta tanto attirata verso questa bellezza e nello stesso momento perde l'attrattiva per tutte le altre cose, per quanto belle e preziose siano non fanno alcuna impressione sull'animo, ciò che lì resta fisso e quasi trasmutato in sé è la bellezza di Gesù, a quella pensa, di quella bellezza si sente investita e resta tanto innamorata che se il Signore non operasse un altro miracolo, le creperebbe il cuore e per il puro amore di questa bellezza di Gesù l'anima spirerebbe per volare nel Cielo a bearsi di questa bellezza di Gesù.
Io stessa non so se dico spropositi.
Per spiegare meglio questo parlare sostanziale di Gesù dico un'altra cosa, Gesù dice: "Vedi quanto son puro, anche in te voglio purità in tutto.”
In queste parole l'anima si sente entrare in sé una purità divina, questa purità si trasmuta in se stessa e giunge a vivere come se non avesse più corpo e così poi delle altre virtù.
Oh! quanto è desiderabile questo parlare di Gesù, io per me darei tutto ciò che sta sulla terra se potessi essere padrona, per avere una sola di queste parole di Gesù.
Il quarto modo in cui Gesù mi parla è quando mi trovo in me stessa, cioè nello stato naturale, e questo è pure di due modi: il primo è quando trovandomi in me stessa, raccolta nell'interno del cuore, senza articolazione di voce o di suono all'orecchio del corpo, Gesù parla internamente.
Il secondo è come si fa da noi, e questo succede a volte stando anche distratta oppure parlando con altre persone.
Ma una sola di queste parole basta a raccogliermi se distratta, a darmi la pace se son turbata, a consolarmi se son afflitta.
Preparazione per gli sposalizi mistici.
Luisa rimane definitivamente a letto.
Seguito a dire da dove lasciai ed ecco come avvenne.
La mattina andai alla comunione ed appena ricevuto Gesù subito gli dissi: "Signore mio, vedi un po' in che tempesta mi trovo, avrei dovuto ringraziarti ché hai dato lume al confessore nel darmi l'ubbidienza di soffrire, invece la mia natura sente tanto il peso, che io stessa resto confusa nel vedermi così cattiva.
Ma tutto ciò è niente, Tu che vuoi il sacrificio mi darai anche la forza.
Ma la ragione più possente in me è dover stare tanto tempo senza poterti ricevere in sacramento, chi potrà resistere senza di Te?
Chi mi darà la forza?
Dove potrò trovare un ristoro nelle mie afflizioni?”
E, mentre così dicevo, sentivo tali pene nel cuore per questa separazione da Gesù sacramentato che piangevo dirottamente.
Allora il Signore, compatendo la mia debolezza, mi disse: "Non temere, Io stesso sosterrò la tua debolezza, tu non sai quali grazie ti ho preparato, perciò temi tanto.
Non sono Io onnipotente, non potrò Io supplire alla privazione di potermi ricevere in sacramento?
Perciò, rassegnati, mettiti morta nelle mie braccia, offriti vittima volontaria per ripararmi le offese, per i peccatori e per risparmiare agli uomini i meritati flagelli.
Ed Io ti do in pegno la mia parola di non lasciarti neppure un sol giorno senza venirti a trovare.
Finora tu sei venuta a Me, d'ora in poi verrò Io a te, non ne sei tu contenta?”
Così mi rassegnai alla santa Volontà di Dio e fui sorpresa da questo stato di sofferenze.
Ora chi può dire le grazie che il Signore incominciò a farmi?
E' impossibile poter dire tutto distintamente, potrò dire qualcosa in modo confuso, ma per quanto posso e per fare la santa ubbidienza che così vuole, m'ingegnerò di dire per quanto mi è possibile.
Ricordo che fin dal principio di questo stare continuamente nel letto, il mio Amante Gesù molto spesso si faceva vedere, ciò che non aveva fatto nel passato, fin dal principio mi disse che voleva che prendessi un nuovo sistema di vita per dispormi a quel mistico sposalizio promesso a me.
Mi diceva: "Diletta del mio cuore, ti ho messo in questo stato, affinché potessi più liberamente venire e conversare con te, vedi, ti ho liberato da tutte le occupazioni esterne acciocché non solo l'anima, ma anche il corpo stesse a mia disposizione, e così potessi stare in continuo olocausto innanzi a Me, vedi, se non ti avessi tirato in questo letto, dovendo tu disimpegnare i doveri di famiglia e assoggettarti ad altri sacrifizi, non avrei potuto Io venire così spesso e farti partecipe delle offese così come le ricevo, al più avrei dovuto aspettare che tu compissi i tuoi doveri.
Ma adesso no, siamo rimasti liberi, non c’è più nessuno che ci molesti e che rompa la nostra conversazione, d'ora innanzi le mie afflizioni saranno tue, e mie le tue; i miei patimenti saranno tuoi e miei i tuoi; le mie consolazioni tue e mie le tue; uniremo tutte le cose e tu prenderai interesse alle cose mie come se fossero tue, così farò Io delle tue.
Non più tra noi due ci starà questo è mio e questo è tuo, ma tutto sarà comune d’ambo le parti.
Sai come ho fatto con te?
Come un re quando vuole parlare con la sua regina sposa e questa si trova con le altre dame in altri affari.
Il re che fa?
Se la prende e se la porta nella sua stanza, si chiudono la porta, affinché nessuno possa andare a rompere la loro conversazione e sentire i loro segreti, così stando soli, si comunicano a vicenda le loro consolazioni e le loro afflizioni.
Ora se qualcuno imprudente andasse a bussare, a strillare dietro la porta e non lasciasse loro godere in pace la conversazione, il re non la avrebbe a male?
Così ho fatto Io per te e così pure mi dispiacerebbe se qualcuno ti volesse distogliere da questo stato.”
Proseguì a dirmi: "Voglio da te conformità perfetta alla mia Volontà, in modo che la tua volontà si disfaccia nella mia, distacco assoluto da ogni cosa, tanto che tutto ciò che è terra voglio che sia tenuto da te come sterco e marciume, che si ha orrore anche a guardarlo, e ciò perché le cose terrene ancorché non si avesse attaccamento, solo a tenerle in torno e guardarle, adombrano le cose celesti ed impediscono che si faccia quel mistico sposalizio promesso a te.
Di più voglio che così come Io fui povero, anche tu m'imiti nella povertà, devi considerarti in questo letto come una poverella, i poveri si contentano di tutto ciò che hanno e ringraziano prima Me e poi i loro benefattori.
Così tu, accetta tutto ciò che ti viene dato senza domandare né questo, né quell’altro che potrebbe essere un impiccio nella tua mente ma, con santa indifferenza, senza pensare se ciò fa bene o male, rimettiti alla volontà altrui.”
Ciò mi costò molto in principio, specialmente per le obbedienze che mi dava il confessore, non so come voleva che prendessi il chinino e avevo promesso l'ubbidienza che quante volte avessi rimesso altrettante volte avrei dovuto riprendere il cibo.
Ora il chinino mi stuzzicava l'appetito e a volte sentivo ben bene la fame, prendevo il cibo ed appena preso e a volte nell'atto stesso di prenderlo, dai continui urti di vomito ero costretta a rimetterlo e rimanevo con la stessa fame di prima.
La parola "povera" che Gesù mi aveva detto non mi faceva ardire di chiedere niente ed io stessa avevo vergogna di chiedere; pensavo tra me: "Che dirà la famiglia: ha vomitato ed ora vuole mangiare?
Se mi danno qualcosa la prendo, se no il Signore ci penserà.”
Così trascorrevo il tempo contenta di poter offrire qualcosa al mio caro Gesù.
Però questo non durò molto tempo, ma circa quattro mesi, un giorno il Signore mi disse: "Ripeti la domanda che ti dia l'ubbidienza di non prendere il chinino e di non farti prendere il cibo tante volte e Io gli darò lume.”
Così venne il confessore e lo riferii e lui mi disse: "Per non mostrare singolarità, d'ora in poi voglio che prenda il cibo una sola volta al giorno” e sospese anche il chinino.
Così restai più quieta e mi passò la fame, ma non cessò il vomito, quella sola volta che prendevo il cibo ero costretta a rimetterlo, il Signore a volte mi diceva di chiedere l'ubbidienza di non mangiare, ma il confessore non mi ha dato mai questa ubbidienza, mi diceva: "Fa niente che vomiti, è un'altra mortificazione.”
Io però lo dicevo al Signore e Lui mi diceva: "Voglio che fai la domanda, ma con santa indifferenza voglio che stia a ciò che ti dice l'ubbidienza.”
E così continuai a fare.
Quando furono passati circa quaranta giorni, da me considerati in base a quella parola detta del Signore (per un certo dato tempo) e che io così avevo riferito al confessore, le sofferenze continuavano a sorprendermi ogni giorno e lui era costretto a venire tutti i giorni, il confessore allora incominciò a darmi l'ubbidienza di non dovere più stare in quello stato e mi soggiungeva che se fossi caduta nelle sofferenze, lui non sarebbe più venuto.
Da parte mia mi sentivo prontissima a fare l'ubbidienza, specialmente la natura voleva liberarsi da quello stare continuamente nel letto, che per quanto bello fosse, era sempre letto, quel dovere assoggettarsi a tutti, anche nelle cose più ripugnanti e necessarie alla natura, ed essere costretta a dirle agli altri, è un vero sacrificio.
Quindi la natura fece il suo uffizio, tutta si consolò nel sentirsi data quest'ubbidienza, l'anima mia era pronta a fare l'ubbidienza e pronta anche a stare nel letto se il Signore così avesse voluto, perché avevo incominciato a sperimentare quanto era stato buono con me e che la vera rassegnazione sa cambiare la natura alle cose e converte l'amaro in dolce.
Quando mi diede l'ubbidienza di non dover più stare nel letto, io incominciai a resistere e dicevo al Signore: "Che vuoi da me?
Non posso più, ché l'ubbidienza non vuole, se Tu vuoi dai lume al confessore ed allora io sarò pronta a fare ciò che vuoi.”
E stetti tutta una notte a contrastare col Signore, quando veniva gli dicevo: "Mio caro Gesù, abbi pazienza, non venire, ché l'ubbidienza non permette che mi fai partecipe delle sofferenze.”
Fino alla mattina io vincevo, mi sentivo in me stessa e libera di sofferenze, quando in un istante venne il Signore e mi tirò talmente a Sé, che non potetti resistergli, io perdetti i sensi e mi trovai insieme con Lui, ma tanto stretta, che per quanta opposizione facessi, non potetti distaccarmi da Gesù.
Stando con Gesù io mi sentivo tutta annichilita ed avevo un certo rossore per le tante scenate che gli avevo fatto la notte, quindi gli dissi: "Sposo Santo, perdonami, è il confessore che così vuole.”
E Lui mi disse: "Non temere, quando è l'ubbidienza Io non mi offendo.”
Proseguì: "Vieni, vieni a Me, oggi è Capodanno, voglio darti la strenna.”
(Giusto quella mattina era il primo giorno dell'anno).
Così avvicinò le sue purissime labbra alle mie e versò un latte dolcissimo, mi baciò e prese un anello dal costato, e mi disse: "Oggi voglio farti vedere l'anello che ti ho preparato quando ti sposerò.”
Poi mi disse: "Di’ al confessore che è Volontà mia che continui a stare nel letto e, per segno che sono Io, digli che c'è la guerra tra l'Italia e l'Africa e se lui ti dà l'ubbidienza di farti continuare a soffrire, non farò far niente d’ambo le parti e si rappacificheranno.”
Nell'atto stesso di dire queste parole, mi sentii come circondata da una veste di sofferenze e da me stessa non potetti liberarmi, pensavo tra me stessa: "Che dirà il confessore?”
Ma non stava più in mio potere.
Quel latte che Gesù aveva versato in me mi produceva tale amore verso di Lui, che mi sentivo languire e mi sentivo tanta sazietà e dolcezza che quando venne il confessore e mi fece riavere da quello stato e la famiglia mi portò il cibo, tanto mi sentivo piena che il cibo non andava giù, ma per fare l'ubbidienza che così voleva, ne presi un poco e subito fui costretta a rimetterlo, ma misto con quel dolce latte che mi aveva dato Gesù.
E Gesù, quasi scherzando, mi disse: "Non ti è bastato quel che ti ho dato?
Non sei contenta ancora?”
Io arrossii tutta, ma subito gli dissi: "Che vuoi da me?
E' l'ubbidienza.”
Quando venne il confessore incominciò ad inquietarsi ed a dirmi ch'ero disobbediente, oppure mi diceva: "E' una malattia.
Se fosse cosa di Dio t'avrebbe fatto ubbidire, perciò invece di chiamare il confessore devi chiamare i medici.”
Quando lui finì di dire, io gli dissi tutto ciò che mi aveva detto il Signore, come ho detto di sopra e lui mi disse che era vero che c’era la guerra tra l'Africa e l'Italia; poi disse: “staremo a vedere se non si farà niente”.
E così restò persuaso di farmi continuare a soffrire.
Dopo circa quattro mesi, un giorno venne il confessore e mi disse che erano arrivate le notizie che la guerra tra l'Africa e l'Italia era terminata, senza alcun danno da ambo le parti.
Così il confessore restò più persuaso e mi lasciò restare in pace.
Onde il mio dolce Gesù non faceva altro che dispormi a quel mistico sposalizio promesso a me, si faceva vedere stando in quello stato, quando tre, quattro volte al giorno, secondo che a Lui piaceva, e a volte era un continuo andare e ritornare, mi pareva un innamorato che non sa stare senza la sua sposa, così faceva Gesù con me e a volte giungeva a dirmelo: "Vedi, t'amo tanto che non so stare se non vengo, mi sento quasi irrequieto pensando che tu stai a soffrire per Me e stai sola, perciò son venuto per vedere se hai bisogno di qualcosa.”
E mentre così diceva, Lui stesso mi sollevava la testa, metteva il braccio dietro il collo e m'abbracciava e, mentre così mi teneva, mi baciava e se era tempo d'estate poiché faceva caldo, dalla sua bocca mandava un alito rinfrescante oppure prendeva qualcosa in mano e mi faceva vento e poi mi domandava: "Come ti senti?
Non ti senti meglio?”
Io gli dicevo: "In qualunque modo si sta con Te, si sta sempre bene.”
Altre volte poi veniva e se mi vedeva molto debole per il continuo stare in quelle sofferenze, specialmente se il confessore veniva la sera, il mio amante Gesù veniva e vedendomi in quello stato di estrema debolezza, tanto che a volte mi sentivo morire, si avvicinava a me e dalla sua bocca versava nella mia il latte, oppure mi faceva mettere al costato e là succhiavo torrenti di dolcezze, di delizie e di fortezza e Lui mi diceva: "Voglio essere Io proprio il tuo tutto ed anche il tuo nutrimento dell'anima e del corpo.”
Chi può dire ciò che io esperimentavo, tanto nell'anima quanto nel corpo, da queste grazie che Gesù mi faceva?
Se io le volessi dire, andrei troppo per le lunghe.
Ricordo che a volte quando non veniva presto, io mi lamentavo con Lui dicendogli: "Deh! o! Sposo Santo, come mi hai fatto tanto aspettare, io non potevo più resistere, mi sentivo morire senza di Te.”
E mentre così dicevo, era tanta la pena che sentivo che piangevo e Lui tutta mi compativa, m'asciugava le lacrime, mi baciava, mi abbracciava e diceva: "Non voglio che tu pianga.
Vedi, adesso sto con te, dimmi che vuoi.”
Io gli dicevo: "Non voglio altro che Te ed allora cesserò di piangere quando mi prometterai di non farmi tanto aspettare.”
E Lui mi diceva: "Sì, sì, ti contenterò.”
Un giorno mentre stavamo in questo contrasto ed, era tanta la pena che io non potevo cessare dal piangere, il mio buon Gesù mi disse: "Voglio contentarti in tutto, mi sento tanto tirato verso di te che non posso fare a meno di far quel che tu vuoi.
Se finora ti ho tolto la vita esteriore e mi sono manifestato a te, ora voglio tirare l'anima tua presso di Me, affinché dovunque Io vada possa tu venire insieme, così potrai tu più godermi e stringerti più intimamente a Me, più di quanto non hai fatto nel passato.”
Luisa vede Gesù come un amabile giovane.
Una mattina, non ricordo tanto bene, credo che erano passati circa tre mesi dacché continuavo a star sempre nel letto, mentre stavo nel solito mio stato, venne il mio dolce Gesù con un aspetto tutto amabile, da giovane, circa l'età di diciotto anni.
Oh! quanto era bello, con la sua chioma dorata e tutta inanellata, pareva che incatenasse i pensieri, gli affetti, il cuore.
La sua fronte era serena e spaziosa e si poteva rimirare come attraverso un cristallo l'interno della sua mente e si scopriva la sua infinita sapienza, la sua pace imperturbabile.
Oh! come mi sentivo rasserenare la mia mente, il mio cuore; anzi le stesse mie passioni, innanzi a Gesù, si atterrano e non ardiscono darmi la minima molestia.
Io credo, non so se sbaglio, che non si può vedere questo Gesù sì bello se non si sta nella calma più profonda, tanto che il minimo alito di disturbo impedisce di ricevere una sì bella vista.
Ah! sì, al solo vedere la serenità della sua fronte adorabile è tanta l’infusione della pace che si riceve nell'interno, che credo che non ci sia disastro, guerra più fiera che innanzi a Gesù non s'acquieti.
Oh! mio tutto e bello Gesù, se per pochi momenti che ti manifesti in questa vita, comunichi tanta pace, in modo che si possono soffrire i più dolorosi martiri, le pene più umilianti con la più perfetta tranquillità, mi sembra un misto di pace e di dolore, che sarà in Paradiso?
Oh! come sono belli i suoi occhi purissimi, scintillanti di luce; non è come la luce del sole che volendo guardarla offende alla nostra vista, no, in Gesù mentre è luce, si può fissare benissimo lo sguardo e solo il guardare l'interno della sua pupilla d'un colore celeste scuro, oh! quante cose mi dicevano.
E' tanta la bellezza degli occhi suoi, che un sol suo sguardo basta a farmi uscire fuori di me stessa e farmi correre dietro a Lui, per vie e per monti, per la terra e per il cielo, basta una sola occhiata per trasformarmi in Lui e sentirmi scendere in me un certo che di divino.
Chi può dire poi la bellezza del suo volto adorabile?
La sua bianca carnagione pari alla neve tinta d'un colore di rose, le più belle; nelle sue guance purpuree si scopre la grandezza della sua persona, con un aspetto maestosissimo in tutto divino, che incute timore e riverenza ed insieme vi dà tanta confidenza, che in quanto a me, non ho trovato mai persona alcuna che mi desse almeno un'ombra della confidenza che mi dà il mio caro Gesù, né i genitori, né i confessori, né le sorelle.
Ah! sì, quel volto santo, mentre è così maestoso, poi è così amabile e quella amabilità attira tanto, in modo che l'anima non ha minimo dubbio d'essere accolta da Gesù, per quanto brutta e peccatrice si veda.
Bello pure è il suo naso che scende in punta finissima, proporzionato al suo sacratissimo volto.
Graziosa è la sua bocca piccola, ma estremamente bella, le sue labbra finissime d'un colore scarlatto, mentre parla contiene tanta graziosità che è impossibile poter descrivere.
E' dolce la voce del mio Gesù, è soave, è armoniosa, mentre parla esce un tale profumo dalla sua bocca, che pare non se ne trovi sulla terra, è penetrante in modo che vi penetra tutto, si sente scendere dall'udito al cuore, ed oh! quanti effetti produce, ma chi può dire tutto?
Poi è tanto piacevole che credo che non si possano trovare altri piaceri, quanti se ne possono trovare in una sola parola di Gesù.
La voce del mio Gesù è potentissima, è operante e, già nello stesso atto in cui parla opera ciò che dice.
Ah! sì, è bella la sua bocca, ma dimostra più la sua bella grazia nell'atto del suo parlare, mentre si vedono quei denti così nitidi e così ben aggiustati ed esce il suo alito d'amore che incendia, saetta, consuma il cuore.
Belle sono le sue mani, soffici, bianche, delicatissime, con quelle dita così artificiosamente fatte e che muove con una maestria tale che è un incanto.
Oh! quanto sei bello, tutto bello o mio dolce Gesù! Ciò che ho detto è niente della tua bellezza, anzi mi pare che ho detto tanti spropositi, ma che vuoi da me?
Perdonami, è l'ubbidienza che così vuole, da me non avrei ardito far parola, conoscendo la mia insufficienza.
Luisa fuori di se stessa segue Gesù e vede diverse scene.
Ora, mentre vedevo Gesù nell'aspetto già detto, dalla sua bocca mi mandò un alito che m'investiva tutta l'anima e mi pareva che Gesù mi tirasse con quell’alito dietro di Sé e incominciai a sentirmi uscire l'anima dal corpo, proprio me la sentivo uscire da tutte le parti, dalla testa, dalle mani e fin dai piedi, essendo la prima volta che mi succedeva, dentro di me incominciai a dire: Adesso muoio, il Signore è venuto a prendermi.
Quando mi vidi uscita dal corpo, l'anima teneva la stessa sensazione del corpo, con questa differenza, che il corpo contiene carne, nervi ed ossa, l'anima no, è un corpo di luce, quindi io mi sentivo un timore, ma Gesù continuava a mandarmi quell’alito e mi disse: "Se tanto ti dà pena l'essere priva di Me, adesso vieni insieme con Me, ché voglio consolarti.”
E così Gesù prese il suo volo ed io presi il mio dopo di Lui e girammo per tutta la volta del cielo.
Oh! quanto era bello passeggiare insieme con Gesù, ora appoggiavo la testa sulla sua spalla, con un braccio dietro le spalle e l'altra mano in mano, ora s'appoggiava Gesù a me, quando si giungeva in certi luoghi dove l’iniquità più inondava, oh! quanto soffriva il mio buon Gesù, io vedevo con più chiarezza le sofferenze del suo cuore adorabile, lo vedevo venire quasi svenuto, gli dicevo: "Appoggiati a me, e fammi parte delle tue pene, che non mi regge l'anima vederti soffrire da solo.”
E Gesù mi diceva: "Diletta mia, aiutami, ché più non posso.”
E mentre così diceva, avvicinava le sue labbra alle mie e versava un'amarezza tale, da sentirmi pene mortali quando sentivo entrare in me quel liquore così amaro; mi sentivo entrare come tanti coltelli, punture, saette che mi penetravano a parte a parte, insomma, in tutte le mie membra si formava un strazio atroce e tornando l'anima al corpo, partecipava queste sofferenze al corpo, chi può dire le pene?
Gesù stesso ne era testimone, perché gli altri non potevano mitigare le mie pene stando in quello stato di perdita dei sensi, e s'aspettava quando era presente il confessore, che anche all'ubbidienza si mitigassero.
Quindi, solo Gesù mi poteva aiutare quando vedeva che la natura non poteva più e che giungeva proprio agli estremi tanto che non mi rimaneva che dare l'ultimo respiro.
Oh! quante volte la morte si è burlata di me, ma verrà un giorno in cui io mi burlerò di lei.
Allora veniva Gesù, mi prendeva fra le sue braccia, m'avvicinava al suo cuore ed oh!, come mi sentivo ritornare la vita, poi, dalle sue labbra versava un liquore dolcissimo e così le pene si mitigavano.
Altre volte, mentre mi portava insieme con Lui girando, se erano peccati di bestemmie, contro la carità ed altri, versava quell’amaro velenoso; se poi erano peccati di disonestà, versava una cosa di marciume puzzolente e quando ritornavo in me stessa, sentivo tanto bene quella puzza, ed era tanto il fetore che mi toccava lo stomaco e mi sentivo venire meno e a volte, prendendo il cibo e dopo quando lo rovesciavo, mi sentivo uscire dalla bocca quel marciume misto col cibo.
Qualche volta, poi, mi portava nelle chiese ed anche là il mio buon Gesù era offeso.
Oh! come giungevano male al suo cuore quelle opere sante, sì, ma strapazzatamente fatte, quelle orazioni vuote di spirito interno, quella pietà finta, apparente, solamente pareva che facesse più insulto a Gesù che onore.
Ah! sì, quel cuore santo, puro, retto, non poteva ricevere quelle opere così mal fatte.
Oh! quante volte si è lamentato dicendo: "Figlia, anche dalla gente che si dice devota, vedi quante offese mi fanno, anche nei luoghi più santi, nel ricevere gli stessi sacramenti, invece d'uscirne purificati, ne escono più imbrattate.”
Ah! sì, quanta pena faceva a Gesù vedere gente che si comunicava sacrilegamente, sacerdoti che celebravano il Santo Sacrificio della messa in peccato mortale, per abitudine e, certuni, orrore a dirlo, per fine d'interesse.
Oh! quante volte il mio Gesù mi ha fatto vedere queste scene sì dolorose.
Quante volte mentre il sacerdote celebrava il Sacrosanto Mistero, Gesù era costretto ad andare, perché chiamato dalla potestà sacerdotale, nelle loro mani; si vedevano quelle mani che stillavano marciume, sangue, oppure imbrattate di fango.
Oh! come era compassionevole allora lo stato di Gesù, sì santo, sì puro, in quelle mani che facevano orrore solo a mirarle, pareva che volesse fuggire da quelle mani, ma era costretto a rimanere finché si consumavano le specie del pane e del vino.
A volte, mentre rimaneva là, col sacerdote, se ne veniva frettoloso alla volta mia e tutto si lamentava, e prima che io lo dicessi, Lui stesso me lo diceva: "Figlia, fammi versare in te, ché più non posso, abbi compassione del mio stato che è troppo doloroso, abbi pazienza, soffriamo insieme e mentre ciò diceva versava dalla sua bocca nella mia, ma chi può dire ciò che versava?
Pareva un veleno amaro, un marciume fetente, misto con un cibo tanto duro e stomachevole e nauseante, che a volte non andava giù, chi può dire poi, le sofferenze che produceva questo versare di Gesù?
Se Lui stesso non mi avesse sostenuto, certo sarei rimasta vittima; eppure a me non versava che la minima parte, che sarà di Gesù che ne conteneva tanto e tanto?
Oh! quanto è brutto il peccato! Ah! Signore, fallo conoscere a tutti, affinché tutti fuggano da questo mostro sì orribile; ma mentre vedevo queste scene sì dolorose, mi faceva vedere pure altre volte scene sì consolanti e belle che rapivano, e questo era il vedere buoni e santi sacerdoti che celebravano i Sacrosanti Misteri.
Oh Dio! quanto è alto, grande, sublime il loro ministero.
Quanto era bello vedere il sacerdote che celebrava la messa e Gesù trasformato in esso, pareva che non il sacerdote ma che Gesù stesso celebrasse il Divin Sacrificio e a volte faceva scomparire affatto il sacerdote e Gesù solo celebrava la messa, ed io l'ascoltavo, oh! quanto era commovente vedere Gesù recitare quelle preci, fare tutte quelle cerimonie e movimenti che fa lo stesso sacerdote.
Chi può dire quanto mi riusciva consolante vedere queste messe insieme con Gesù?
Quante grazie ricevevo, quanti lumi, quante cose comprendevo! Ma siccome sono cose passate e non le ricordo tanto chiaramente, perciò le passo in silenzio.
Riflessioni sulla Santa Messa.
Ma mentre così dico, Gesù nel mio interno si è mosso e mi ha chiamato, e non vuole che faccia ciò.
Ah! Signore, quanta pazienza ci vuole con Te.
Ebbene Ti contenterò.
Oh! dolce amore dirò qualche piccola cosa ma dammi la grazia tua per poterla manifestare, che da me non ardirei mettere parola in misteri sì profondi e sublimi.
Ora, mentre vedevo Gesù o il sacerdote che celebrava il Divino Sacrificio, Gesù mi fece capire che nella messa c'è tutto il fondo della nostra sacrosanta religione.
Ah! sì, la messa ci dice tutto e ci parla di tutto.
La messa ci ricorda la nostra redenzione, ci parla a parte a parte delle pene che Gesù patì per noi, ci manifesta ancora l'amore immenso perché non fu contento di morire sulla croce, ma volle continuare lo stato di vittima nella Santissima Eucarestia.
La messa ci dice pure che i nostri corpi disfatti, inceneriti dalla morte, risorgeranno nel giorno del giudizio insieme con Cristo a vita immortale e gloriosa.
Gesù mi faceva comprendere che la cosa più consolante per un cristiano ed i misteri più alti e sublimi della nostra santa religione sono: Gesù in sacramento e la resurrezione dei nostri corpi alla gloria.
Sono misteri profondi che comprenderemo solo al di là delle stelle, ma Gesù in sacramento ce li fa quasi toccare con mano in più modi.
In primo, la sua Resurrezione; in secondo il suo stato di annientamento sotto quelle specie, ma pure è certo che Gesù sta vivo e vero.
Poi, consumate quelle specie, la sua reale presenza non esiste più.
Di poi consacrate quelle specie, di nuovo viene ad acquistare il suo stato sacramentato.
Così Gesù in sacramento ci ricorda la resurrezione dei nostri corpi alla gloria, come Gesù, cessando il suo stato sacramentale risiede nel seno di Dio, suo Padre, così per noi quando cessa la nostra vita, le anime nostre vanno a fare la loro dimora nel Cielo, nel seno di Dio ed i nostri corpi restano consumati, sicché si può dire che non esisteranno più, ma poi con un prodigio dell'onnipotenza di Dio, i nostri corpi acquisteranno nuova vita ed unendosi all’anima andranno insieme a godere la beatitudine eterna.
Si può dare cosa più consolante per un cuore umano, sapendo che non solo l'anima, ma anche il corpo deve bearsi negli eterni contenti?
A me sembra che in quel gran giorno succederà come quando il cielo è stellato ed esce il sole, che avviene?
Il sole, con la sua immensa luce assorbe le stelle e le fa scomparire, ma le stelle esistono.
Il sole è Dio e tutte le anime beate sono stelle, Iddio con la sua immensa luce ci assorbirà tutti in Sé, in modo che esisteremo in Dio e nuoteremo nel mare immenso di Dio.
Oh! quante cose ci dice Gesù in sacramento, ma chi può dirle tutte?
Davvero andrei troppo per le lunghe, se il Signore permetterà mi riservo di dire qualche altra cosa in altra occasione.
Mistico Sposalizio sulla terra.
Ora in queste uscite che il Signore mi faceva fare, a volte mi rinnovava la promessa dello sposalizio già detto, chi può dire le accese brame che il Signore infondeva in me che si effettuasse questo mistico sposalizio?
Molte volte lo sollecitavo dicendogli: "Sposo dolcissimo, fa’ presto, non dilungare più la mia intima unione con Te.
Deh! stringiamoci con più forti vincoli d'amore, in modo che più nessuno ci possa separare anche per semplici istanti.”
E Gesù ora mi correggeva d'una cosa, or di un’altra.
Ricordo che un giorno mi disse: "Tutto ciò che è terreno, tutto, tutto devi togliere, non solo dal tuo cuore, ma anche dal tuo corpo, tu non puoi capire quanto nocive e di quanto impedimento sono all'amore mio le minime ombre terrene.”
Io gli dissi subito: "Se ho qualche altra cosa da togliere, dimmelo, che sono pronta a farlo.”
Ma mentre ciò dicevo, io stessa mi resi conto che avevo un anello d'oro al dito, che rappresentava l’immagine del Crocifisso, subito gli dissi: "Sposo santo, vuoi che lo tolga?”
E Lui mi disse: "Dovendoti dare Io un anello più prezioso, più bello, sul quale al vivo sarà impressa la mia immagine, tanto che ogni volta che lo guarderai nuove frecce d'amore riceverà il tuo cuore, perciò questo non è necessario.”
Ed io prontamente me lo tolsi.
Giunse finalmente il sospirato giorno, dopo non poco patire.
Ricordo che poco mancava al compimento dell’anno in cui continuamente stavo nel letto, giorno della purità di Maria Santissima.
La notte precedente a tal giorno, il mio amante Gesù si fece vedere tutto festoso, si avvicinò a me e prese il mio cuore fra le sue mani, lo guardò e riguardò, lo spolverò e poi di nuovo me lo restituì.
Poi prese una veste d'immensa bellezza, mi pareva che il fondo fosse un ammasso di oro screziato di vari colori e con quella mi vestì, indi prese due gemme come se fossero orecchini e ingemmò le orecchie, dopo mi ornò il collo e le braccia e mi cinse la fronte d'una corona d'immenso valore, tutta arricchita di pietre e di gemme preziose, tutta risplendente di luce e mi pareva che quelle luci fossero tante voci, che fra loro risuonavano ed a chiare note parlavano della bellezza, potenza, fortezza e di tutte le altre virtù del mio sposo Gesù.
Chi può dire ciò che compresi ed in qual mare di consolazione nuotava l'anima mia?
E' impossibile poterlo dire.
Ora mentre Gesù mi cingeva la fronte, mi disse: "Sposa dolcissima, ti metto questa corona affinché niente manchi per farti degna d'essere mia sposa, ma poi dopo che sarà fatto il nostro sposalizio, me la porterò nel Cielo per riservartela al punto della morte.
Finalmente prese un velo e con quello tutta mi coprì, dalla testa fino ai piedi e così mi lasciò.
Ah! mi pareva che in quel velo ci fosse un grande significato, perché i demoni al vedermi ricoperta con quel velo, restavano tanto spaventati ed avevano tale paura di me, che fuggivano atterriti.
Gli stessi angeli stavano intorno con tal venerazione che io stessa restavo confusa e tutta piena di rossore.
La mattina del suddetto giorno, Gesù si fece vedere di nuovo tutto affabile, dolce e maestoso, insieme con la sua Madre Santissima e con santa Caterina.
Prima gli angeli cantarono un inno, santa Caterina m'assisteva, la Mamma mi prese la mano e Gesù mi pose al dito l'anello.
Poi ci abbracciammo e mi baciò e così fece anche la Mamma.
Dopo si tenne un colloquio tutto d'amore, Gesù diceva a me l'amor grande che mi voleva ed io dicevo a Lui pure l'amore che gli volevo.
La Santissima Vergine mi fece comprendere la grazia grande che avevo ricevuto e la corrispondenza con cui dovevo corrispondere all'amore di Gesù.
Il mio Sposo Gesù mi diede nuove regole per vivere più perfettamente, ma siccome è passato molto tempo, non le ricordo tanto bene, perciò le tralascio, e così finì per quel giorno.
Chi può dire poi le finezze d'amore che Gesù faceva all'anima mia?
Erano tali e tante ch'è impossibile descriverle, ma quel poco che ricordo cercherò di dirlo.
A volte trasportandomi con Lui, mi portava nel Paradiso ed ivi ascoltavo i cantici dei beati, vedevo la Divinità, i diversi cori degli angeli, gli ordini dei santi, tutti immersi nella Divinità di Dio, assorbiti, immedesimati.
Mi pareva che intorno al trono ci fossero tante luci, come se fossero più splendenti del sole e a chiare note queste luci denotavano tutte le virtù ed gli attributi di Dio.
I beati specchiandosi in una di queste luci restavano rapiti in modo che non giungevano a penetrare tutta l'immensità di quella luce, quindi passavano ad una seconda luce senza capire tutta a fondo la prima.
Sicché i beati in Cielo non possono comprendere perfettamente Dio, perché è tanta l'immensità, la grandezza, la santità di Dio, che mente creata non può comprendere un Essere increato.
Ora mi pareva che i beati, specchiandosi in queste luci, venissero a partecipare alle virtù di queste luci, sicché l'anima in Cielo rassomiglia a Dio, con questa differenza: Che Dio è quel sole grandissimo e l'anima è un piccolo sole.
Ma chi può dire tutto ciò che in quel beato soggiorno si apprende?
Mentre l'anima si trova in questo carcere del corpo è impossibile, mentre nella mente si sente qualcosa, le labbra non trovano vocaboli come potersi esprimere, mi sembra come un bambino che incomincia a balbettare, che vorrebbe dire tante e tante cose, ma alla fin non sa dire neppure una parola chiara.
Perciò faccio punto senza passare più oltre.
Solo dirò che a volte mentre mi trovavo in quella Patria beata, passeggiavamo insieme con Gesù in mezzo ai cori degli angeli e dei santi, e siccome io ero novella sposa, tutti i beati si univano insieme per partecipare alle gioie del nostro sposalizio, mi pareva che dimenticassero i loro contenti per occuparsi dei nostri e Gesù ora mi mostrava ai santi dicendo: "Vedete quest'anima, è un trionfo del mio amore, il mio amore tutto ha superato in lei.”
Altre volte poi mi faceva mettere al posto che a me toccava e mi diceva: "Ecco qui il tuo posto, nessuno te lo può togliere e a volte giungevo a credere che non sarei tornata più alla terra, ma in un semplice istante mi trovavo rinchiusa nel muro di questo corpo.
Chi può dire quanto mi riusciva amarissimo questo ritornare?
Dalle cose del Cielo alle cose di questa terra a me sembrava che tutto fosse marciume, insipido, fastidioso, le cose che tanto dilettano gli altri, per me riuscivano amare, le persone più care, più ragguardevoli, che altri chissà quanto avrebbero fatto per trattenersi con loro, a me riuscivano indifferenti ed anche fastidiose, il solo guardarli mi pareva che potessi sopportarli solo come immagine di Dio, ma l'anima aveva perduto qualche soddisfazione, nessuna cosa le recava la minima ombra di contento ed era tanta la pena che sentivo, che non facevo che piangere e lamentarmi col mio amato Gesù.
Ah! il mio cuore viveva irrequieto tra continue ansie e desideri, me lo sentivo più nel Cielo che sulla terra, sentivo nell'interno una cosa che mi rodeva continuamente, tanto mi riusciva amaro e doloroso il dover continuare a vivere.
Ma l'ubbidienza mise quasi un freno a queste mie pene, comandandomi assolutamente di non desiderare di morire e che avrei dovuto morire qualora il confessore mi avesse dato l'ubbidienza.
Quindi per fare la santa ubbidienza, facevo quanto più potevo a non pensarci, ché nel mio interno era una giaculatoria continua il desiderio di volermene andare.
Onde in gran parte il mio cuore si quietò, ma non del tutto.
Confesso la verità, molto difettai in questo, ma che potevo fare?
Non sapevo frenarmi, per me era un vero martirio.
Il mio benigno Gesù mi diceva: "Quietati, quale è la cosa che tanto ti fa desiderare il Cielo?”
Io gli dicevo: "Voglio stare sempre unita a Te, non mi regge più l'anima di stare separata da Te, non solo per un giorno, ma neppure per un momento, quindi a qualsiasi costo voglio venirmene.”
"Ebbene.”
Mi diceva: "Se è per Me ti voglio pure contentare, verrò a stare con te.”
Io poi gli dicevo: "Poi mi lasci ed io Ti perdo di vista, ma nel Cielo non è così, là non Ti potrò mai perdere di vista.”
A volte anche Gesù voleva scherzare ed ecco come: Mentre stavo in queste ansie, veniva tutto in fretta e mi diceva: "Vuoi tu venire?”
Ed io gli dicevo: "Dove?”
E Lui: "Al Cielo.”
Ed io: "Davvero me lo dici?”
E Lui: "Ma fa’ presto, vieni, non indugiare.”
Ed io: "Ebbene, andiamo, ma temo che tu voglia burlarmi.”
E Gesù: "No, no, davvero ti voglio portare insieme.”
E mentre così diceva mi sentivo uscire l'anima dal corpo ed insieme con Gesù prendevo la volta del Cielo.
Oh! come ero contenta allora, credendo di dover lasciare la terra, la vita mi pareva un sogno, il patire pochissimo.
Mentre si giungeva ad un punto alto del Cielo, sentivo il canto che facevano i beati.
Io sollecitavo Gesù affinché m'introducesse subito in quel beato soggiorno, ma Gesù incominciava a prendermi lentamente.
Nel mio interno incominciavo a sospettare che non fosse vero, chissà, dicevo, forse è uno scherzo che ha fatto?
Di tanto in tanto gli dicevo: "Gesù, mio caro, fa’ presto.”
E Lui mi diceva: "Aspetta un altro poco, scendiamo un'altra volta sulla terra.
Vedi, lì sta un peccatore per perdersi, andiamo, chissà se si converte.
Preghiamo insieme l'Eterno Padre che gli usi misericordia.
Non vuoi tu che si salvi?
Non sei pronta a soffrire qualunque pena per la salvezza d'un anima sola?”
Ed io: "Sì, qualunque cosa Tu vuoi che soffra, sono pronta, purché la salvi.”
Così si andava da quel peccatore, si cercava di convincerlo, si mettevano innanzi alla sua mente le più possenti ragioni per farlo arrendere, ma invano.
Allora Gesù, tutto afflitto, mi diceva: "Sposa mia, ritorna un'altra volta nel tuo corpo, prendi su di te le pene a lui dovute; così la divina giustizia, placata, potrà usargli misericordia.
Tu hai visto, le parole non l'hanno scosso, le ragioni neppure, non restano altro che le pene, che sono i mezzi più potenti per soddisfare la giustizia e per fare arrendere il peccatore.”
Così mi portava di nuovo nel corpo.
Chi può dire le sofferenze che mi venivano?
Lo sa solo il Signore che n'era testimone.
Dopo qualche giorno poi, mi faceva vedere quell'anima convertita e salva, oh come era contento Gesù ed io pure! Chi può dire quante volte Gesù ha fatto questi scherzi?
Quando si giungeva al punto d'entrare nel cielo ed a volte anche dopo entrato, diceva che non mi aveva fatto avere l'ubbidienza dal confessore e quindi conveniva ritornare alla terra, io gli dicevo: "Finché sono stata col confessore ero obbligata a ubbidire a lui, ma ora che sono con Te, ho dovuto ubbidire a Te, perché Tu sei il primo di tutti.
E Gesù mi diceva: "No, no; voglio che ubbidisci al confessore.”
Onde, per non andare troppo per la lunghe, ora per un pretesto, ora per un altro, mi faceva ritornare alla terra.
Questi scherzi mi riuscivano molto dolorosi, basta dire che mi rese impertinente, tanto, che il Signore per castigare le mie impertinenze non permetteva più così spesso questi scherzi.
Preparazione per la rinnovazione dello sposalizio nel Cielo.
Esercizio delle Virtù Teologali.
In questo stato già detto passai circa tre anni, continuando a stare nel letto.
Una mattina Gesù mi fece intendere che voleva rinnovare lo sposalizio, ma non già sulla terra come la prima volta, ma nel Cielo alla presenza di tutta la corte Celeste, quindi che fossi preparata ad una grazia sì grande.
Io feci quanto più potetti per dispormi, ma, essendo io tanto miserabile ed insufficiente a fare nessun'ombra di bene, ci voleva la mano dell'Artefice Divino per dispormi, ché da me mai sarei riuscita a purificare l'anima mia.
Una mattina, era la vigilia della natività di Maria Santissima, il mio sempre benigno Gesù, venne Lui stesso a dispormi.
Non faceva che andare e venire continuamente ed ora mi parlava della fede e mi lasciava ed io mi sentivo infondere nell'anima mia, grossolana qual me la sentivo prima, una vita di fede, ora dietro il parlare di Gesù me la sentivo leggerissima, in modo da penetrare in Dio, ed or miravo la potenza, ora la santità, ora la bontà ed altro e l'anima mia restava stupefatta, in un mare di stupore, dicevo: "Potente Iddio, qual potenza innanzi a Te non resta disfatta?
Santità immensa di Dio, quale altra santità per quanto sublime, ardirà comparire al tuo cospetto?”
Poi mi sentivo scendere in me stessa e vedevo il mio nulla, la nullità delle cose terrene, come tutto è niente innanzi a Dio.
Io mi vedevo come un piccolo verme tutto pieno di polvere che mi arrampicavo per dare qualche passo e che per distruggermi non ci voleva altro che uno mi mettesse il piede sopra e già ero disfatta.
Quindi, vedendomi così brutta, quasi non ardivo andare a Dio, ma si faceva innanzi alla mia mente la bontà, e mi sentivo tirare come da una calamita d'andare a Lui e dicevo tra me: "Se è santo, è pure misericordioso; se è potente, contiene anche in Sé piena e somma bontà.”
Mi pareva che la bontà lo circondasse da fuori, lo inondasse dentro.
Quando miravo la bontà di Dio mi pareva che sorpassasse tutti gli altri attributi, ma poi, mirando gli altri, li vedevo tutti eguali in se stessi, immensi, immensurabili ed incomprensibili all'umana natura.
Mentre l'anima mia stava in questo stato, Gesù ritornava e parlava della speranza.
Ricordo qualcosa in confuso, perché dopo tanto tempo è impossibile ricordare chiaro, ma per fare l'ubbidienza che così vuole, dirò per quanto posso.
Quindi Gesù diceva, ritornando alla fede: "Per ottenere bisogna credere.
Come al capo senza la vista degli occhi, tutto è tenebre, tutto è confusione, tanto che se volesse camminare, or cadrebbe ad un punto, ora ad un altro e finirebbe col precipitare del tutto, così l’anima senza fede, non fa altro che andare di precipizio in precipizio, ma la fede serve di vista all'anima e, come luce, la guida alla vita eterna.
Or, da che cosa viene alimentata questa luce della fede?
Dalla speranza.
Or, di quale sostanza è questa luce della fede e questo alimento della speranza?
La carità.
Tutte e tre queste virtù sono innestate tra loro, in modo che una non può stare senza l’altra.
Difatti, che giova all'uomo credere alle immense ricchezze della fede se non le spera per sé?
Le guarderà, sì, ma con occhio indifferente perché sa che non sono sue, ma la speranza somministra le ali alla luce della fede e sperando nei meriti di Gesù Cristo, le guarda come sue e viene ad amarle.”
"La speranza.”
Diceva Gesù.
"Somministra all'anima una veste di fortezza, quasi di ferro, in modo che tutti i nemici coi loro strali non possono ferirla, non solo, ma neppure apportare il minimo disturbo.
Tutto è tranquillità in lei, tutto è pace.
Oh! è bello vedere quest'anima investita della bella speranza, tutta appoggiata al suo diletto, tutta diffidente di sé e tutta confidente in Dio; disfida i nemici più fieri, è regina delle sue passioni, regola tutto il suo interno, le sue inclinazioni, i desideri, i palpiti, i pensieri con una maestria tale, che Gesù stesso ne resta innamorato perché vede che quest'anima opera con tale coraggio e fortezza; ma questa attinge e spera tutto da Lui, tanto che Gesù, vedendo questa ferma speranza, non sa negare niente a quest'anima.
Ora, mentre Gesù parlava della speranza, si ritirava un poco, lasciandomi una luce nell'intelletto.
Chi può dire ciò che comprendevo sulla speranza?
Se le altre virtù, tutte servono ad abbellire l'anima, ma ci possono far vacillare e rendere incostanti, la speranza invece rende l'anima ferma e stabile, come quei monti alti che non si possono muovere un tantino.
A me sembra che all’anima investita dalla speranza, succeda come a certi monti altissimi, alle cui vette tutte le intemperie dell'aria non possono recare alcun danno , non penetra né neve, né venti, né caldo, qualunque cosa vi si potrebbe mettere sopra, si può star sicuri ancorché passassero cent'anni, ché là dove si mette, là si trova.
Tale è appunto l'anima vestita dalla speranza, nessuna cosa la può nuocere, né la tribolazione, né la povertà, né tutti i vari accidenti della vita, la sgomentano un istante, dice fra sé: "Io tutto posso operare, tutto posso sopportare, tutto soffrire sperando in Gesù che forma l'oggetto di tutte le mie speranze.”
La speranza rende l'anima quasi onnipotente, invincibile e somministra all'anima la perseveranza finale, tanto che allora cessa di sperare e di perseverare quando ha preso possesso del regno del Cielo, allora depone la speranza e tutta si tuffa nell'oceano immenso dell'amore divino.
Mentre l'anima mia si perdeva nel mare immenso della speranza, il mio diletto Gesù ritornava e parlava della carità dicendomi: "Alla fede ed alla speranza sottentra la carità, e questa si congiunge alle altre due, in modo da formare una sola mentre sono tre.
Eccoti, oh sposa mia, adombrata nelle tre virtù teologali, la Trinità delle Divine Persone.”
Poi proseguì: "Se la fede fa credere, la speranza fa sperare, la carità fa amare.
Se la fede è luce e serve di vista all'anima, la speranza che è l'alimento della fede somministra all'anima il coraggio, la pace, la perseveranza e tutto il resto; la carità che è la sostanza di questa luce e di questo alimento, è come quell’unguento dolcissimo e odorosissimo che penetrando dappertutto, lenisce, raddolcisce le pene della vita.
La carità rende dolce il patire e fa giungere anche a desiderarlo.
L'anima che possiede la carità spande odore dappertutto, le sue opere fatte tutte per amore, danno un odore graditissimo, e qual è questo odore?
E' l'odore di Dio stesso.
Le altre virtù rendono l'anima solitaria e quasi rustica con le creature; la carità invece, essendo sostanza che unisce, unisce i cuori, ma dove?
In Dio.
La carità essendo unguento odorosissimo si spande dappertutto e con tutti.
La carità fa soffrire con gioia i più spietati tormenti e giunge a non saper stare senza il patire e, quando se ne vede priva, dice al suo sposo Gesù: "Sostienimi coi frutti, qual è il patire, perché languisco d'amore, e dove altro posso mostrarti il mio amore se non nel patire per Te?”
La carità brucia, consuma tutte le altre cose, anche le stesse virtù e converte tutto in sé.
Insomma, è qual regina che vuol regnare dappertutto e che non vuol cedere a nessuno.”
Chi può dire quello che rimase dietro questo parlare di Gesù?
Dico solo che si accese in me tale brama di patire, non solo brama, ma sentii in me come un’infusione, come una cosa naturale, tanto che ritengo che la più grande disgrazia sia il non patire.
Dopo ciò, quella mattina, Gesù per disporre il mio cuore maggiormente, parlò sull'annientamento di me stessa e sul desiderio grandissimo che dovevo avere per dispormi a ricevere la grazia.
Mi diceva che il desiderio supplisce ai mancamenti ed alle imperfezioni che ci possono essere nell'anima, è come un manto che copre tutto.
Ma questo non era un parlare semplicemente, era un infondere in me ciò che diceva.
Il rinnovo dello sposalizio nel Cielo.
Mentre l'anima mia stava eccitandosi in accese brame di ricevere la grazia che Gesù stesso mi voleva fare, Gesù ritornò e mi trasportò fuori di me stessa, fin nel paradiso, ed ivi, alla presenza della Santissima Trinità e di tutta la corte celeste, rinnovò lo sposalizio.
Gesù mise fuori l'anello fregiato con tre pietre preziose, bianca, rossa e verde e lo consegnò al Padre che lo benedisse e di nuovo lo restituì al Figlio; lo Spirito Santo mi prese la destra e Gesù mi mise al dito anulare l'anello.
Poi fui ammessa al bacio di tutte e Tre le Divine Persone che mi benedissero.
Chi può dire la mia confusione quando mi trovai innanzi alla Santissima Trinità?
Dico solo che appena mi trovai alla loro presenza, caddi bocconi a terra e lì sarei rimasta se non fosse stato per Gesù che m'incoraggiò d'andare alla loro presenza, tant'era la luce, la santità di Dio.
Questo solo dico, le altre cose le lascio perché le ricordo in confuso.
Dopo questo, ricordo che passarono pochi giorni, quando mentre facevo la comunione perdetti i sensi e vidi la Santissima Trinità vista nel Cielo, innanzi a me presente; subito mi prostrai alla Sua presenza, l'adorai, confessai il mio nulla.
Ricordo che mi sentivo tanto sprofondata in me stessa e non ardivo dire una sola parola.
Quando una voce uscì dalla Trinità, e disse: "Non temere, fatti coraggio, siamo venuti per confermarti per nostra e prendere possesso del tuo cuore.”
Mentre questa voce così diceva, vidi che la Santissima Trinità scese nel mio cuore e si impossessò, e lì formò la sua sede.
Chi può dire il cambiamento che successe in me?
Mi sentivo divinizzata, non più io vivevo, ma loro vivevano in me.
A me pareva che il mio corpo fosse come una abitazione e che dentro abitasse il Dio vivente, perché io mi sentivo la presenza reale sensibilmente nel mio interno, sentivo la loro voce chiara, che usciva dal mio interno e risuonava alle orecchie del corpo.
Succedeva precisamente come quando v’è gente dentro una stanza che parla e le voci si sentono chiare e distinte anche di fuori.
D'allora in poi, non ebbi più bisogno di andare in cerca altrove per trovare Gesù, ma lo trovavo là dentro il mio cuore.
E quando qualche volta si è nascosto e io sono andata in cerca di Gesù, girando e per il cielo e per la terra, cercando il mio sommo ed unico bene, mentre mi trovavo nella foga delle lacrime, nella intensità delle brame, nelle pene inenarrabili d'averlo perduto, Gesù usciva dal mio interno e mi diceva: "Sto qui con te, non mi cercare altrove.”
Io, tra la meraviglia ed il contento d'averlo trovato gli dicevo: "Mio Gesù, come tutta questa mattina mi hai fatto tanto girare e rigirare per trovarti e Tu stai qui?
Me lo potevi dire almeno, che non mi sarei tanto affannata.
Dolce mio bene, cara mia vita, vedi un po' come sono stanca, non mi sento più forze, mi sento venir meno, deh! sostienimi fra le tue braccia che mi sento morire.
E così Gesù mi prendeva fra le sue braccia e mi faceva riposare e, mentre riposavo, mi sentivo restituire le forze perdute.
Altre volte, quando Gesù si nascondeva io andavo in cerca di Lui.
Quando si faceva sentire dentro di me usciva poi dal mio interno non solo Gesù, ma tutte e Tre le Divine Persone, ora in forma di tre bambini graziosi e sommamente belli, ora in forma di un sol corpo con tre teste distinte, ma simili, tutte e tre attraenti.
Chi può dire il mio contento?
Specialmente quando vedevo i tre bambini ed io li tenevo tutti e tre fra le mie braccia, or baciavo uno, or l'altro, mentre loro, or uno s'appoggiava ad una spalla, l'altro all'altra spalla, ed uno mi rimaneva di fronte, e mentre mi beavo in loro, meravigliata, facevo per guardare e invece di tre ne trovavo un solo.
L'altra mia meraviglia quando mi trovavo questi tre bambini, è che tanto pesava uno e tanto tutti e tre.
Tanto amore mi sentivo per uno di questi bambini, quanto verso tutti e tre, tutti e tre mi attiravano ad uno stesso modo.
Per finire di parlare di questi sposalizi, ho dovuto sorvolare su qualcosa perché dovevo scrivere in ordine, ed ora m'accingo a dirla.
Sposalizio della Croce.
Stigmatizzazione invisibile di Luisa.
Ritornando al principio, Gesù quando si benignava di venire, molto spesso mi parlava della sua passione e curava di disporre l'anima mia all'imitazione della sua vita e delle sue pene, dicendomi che oltre allo sposalizio suddetto ci rimaneva un altro da fare, e questo era lo sposalizio della croce.
Ricordo che diceva: "Sposa mia, le virtù si rendono deboli se non sono corroborate, fortificate dall'innesto della croce.
Prima della mia venuta in terra, le pene, le confusioni, gli obbrobri, le calunnie, i dolori, la povertà, le malattie, la croce specialmente, erano tenuti tutti in conto d'obbrobri, ma dacché furono portati da Me, restarono tutti santificati e divinizzati dal mio contatto, sicché tutti hanno cambiato aspetto e si son resi dolci, graditi e l'anima che ha il bene d'averne qualcuno, ne resta onorata, e questo perché ha ricevuto la divisa di Me, Figliolo di Dio.
E sperimenta il contrario solo chi guarda e si ferma nella corteccia della croce, trovando l’amaro se ne disgusta, si lamenta e pare che gli sia venuto un torto.
Ma chi vi penetra dentro, trovandolo gustoso, ivi forma la sua felicità.
Figlia mia diletta, non altro bramo che il crocifiggerti nell'anima e nel corpo.”
E mentre ciò diceva mi sentivo infondere in tali brame d'essere crocifissa con Gesù Cristo che andavo spesso ripetendo: "Gesù mio, amor mio, fa’ presto, crocifiggimi con Te.”
E quando ritornava, le prime richieste che gli facevo e che a me parevano più importanti, erano queste: il dolore di miei peccati e la grazia che mi crocifiggesse con Lui.
Mi pareva che se avessi ottenuto questo, avrei ottenuto tutto.
Una mattina il mio amantissimo Gesù si presentò a me dinanzi in forma di Crocifisso e mi disse che voleva crocifiggermi con Lui, e mentre diceva ciò vidi che dalle sue santissime piaghe uscirono raggi di luce, e dentro a questi raggi i chiodi che venivano alla volta mia.
In questo mentre, non so il perché, mentre desideravo tanto che mi crocifiggesse che mi sentivo consumare, fui sorpresa da un grande timore che mi fece tremare da capo a piedi; sentivo tale annientamento di me stessa, mi vedevo tanto indegna di ricevere la grazia, che non osavo dire: "Signore crocifiggimi con Te.”
Pareva che Gesù stesse sospeso aspettando il mio volere.
Chi può dire nell'intimo dell'anima mia lo desideravo ardentemente, ma contemporaneamente mi vedevo indegna?
La natura si spaventava e tremava.
Mentre mi trovavo in ciò, il mio diletto Gesù intellettualmente mi sollecitava ad accettare, allora con tutto il cuore gli dissi: "Sposo santo, crocifisso per me, Ti prego di concedermi la grazia di crocifiggermi e, nello stesso tempo, di non fare comparire alcun segno esterno.
Sì, dammi il dolore, dammi le piaghe, ma fa’ che tutto sia nascosto tra me e Te.”
E così quei raggi di luce insieme coi chiodi mi passarono le mani ed i piedi ed il cuore fu passato con un raggio di luce insieme con una lancia.
Chi può dire il dolore ed il contento?
Per quanto prima fui sorpresa dal timore, altrettanto dopo l'anima mia nuotò nel mare della pace, del contento e del dolore.
Era tanto il dolore che sentivo nelle mani, nei piedi e nel cuore, che mi sentivo morire, mi sentivo le ossa delle mani e dei piedi fare in minutissimi pezzi, sentivo come se stessi con un chiodo dentro, ma contemporaneamente mi cagionavano un tale contento che non so esprimere e mi somministravano una tale forza, che mentre mi sentivo morire per il dolore, i dolori stessi mi sostenevano affinché non morissi.
Alle parti esterne del corpo niente compariva, ma vi sentivo i dolori corporalmente, tanto è vero, che quando veniva il confessore per chiamarmi all'ubbidienza e mi scioglieva le braccia e le mani attratte, ogni qualvolta mi toccava quel punto delle mani, cioè, dove era passato quel raggio di luce insieme col chiodo, sentivo pene mortali.
Ma quando il confessore comandava per ubbidienza che cessassero quei dolori, molti si mitigavano, perché quei dolori erano tanto forti, che mi facevano perdere i sensi e se all’ubbidienza non si mitigavano, difficilmente mi sarei prestata ad ubbidire.
Oh! prodigio della santa ubbidienza, tu sei stata tutto per me.
Quante volte mi son trovata in contrasto con la morte, tanta era la forza dei dolori e l'ubbidienza mi ha quasi restituito la vita.
Sia sempre benedetto il Signore, sia tutto a gloria sua.
Ora mentre mi sentivo in me stessa, niente vedevo, ma quando perdevo i sensi, vedevo le parti segnate dalle piaghe di Gesù, mi pareva che le piaghe di Gesù stesso si fossero trasmutate nelle mie mani e nel resto; e questa fu la prima volta che Gesù mi crocifisse.
Perché di queste crocifissioni ce ne sono tante, che è impossibile numerarle tutte, dirò solo le cose principali appartenenti a questa.
Pentimento e dolore dei peccati.
Ora ritornando Gesù gli dicevo: "Caro, mio diletto, dammi il dolore dei miei peccati, così i miei peccati consumati dal dolore, dal pentimento d'averti offeso, possono essere cancellati dall'anima mia ed anche dalla tua memoria, sì, tanto dolore dammi per quanto ho ardito offenderti.
Anzi fa’ che il dolore superi questo, così potrò stringermi più intimamente a Te.”
Ricordo che una volta mentre stavo dicendo ciò, il mio sempre benigno Gesù mi disse: "Giacché ti dispiace tanto d'avermi offeso, voglio Io stesso disporti a farti sentire il dolore dei tuoi peccati, così vedi quanto è brutto il peccato e che acerbo dolore soffrì il mio cuore.
Perciò dici insieme con Me: "Se passi il mare, nel mare Tu sei, eppure non ti vedo; calpesto la terra, stai sotto i miei piedi, peccai.”
E poi, Gesù sotto voce soggiunse quasi piangendo: "E pur ti amai, e nello stesso tempo ti conservai.”
Mentre Gesù diceva ciò ed io insieme con Lui, fui sorpresa da tale dolore delle offese fatte, che caddi bocconi a terra e Gesù scomparve.
Poche sono le parole, ma io capii tante cose che è impossibile dire tutto ciò che io compresi.
Nelle prime parole compresi l'immensità, la grandezza, la presenza di Dio in ogni cosa presente, senza che può sfuggire a Lui neppure l'ombra del nostro pensiero, compresi pure il mio nulla a confronto d'una maestà sì grande e santa.
Nella parola "peccai", comprendevo la bruttezza del peccato, la malizia, l'ardire che io avevo avuto nell'offenderlo.
Ora mentre l'anima stava considerando questo, nel sentire dire da Gesù Cristo: "E pur ti amai e nello stesso tempo ti conservai," il mio cuore fu preso da tal dolore, che mi sentivo morire, perché comprendevo l'amore immenso che il Signore mi portava nell’atto stesso che io cercavo d'offenderlo ed anche d'ucciderlo.
Ah Signore quanto sei stato buono con me ed io sempre ingrata e così cattiva ancora! Ricordo che ogni qualvolta si benignava di venire era un'alternanza: ora gli chiedevo il dolore dei miei peccati, ora la crocifissione ed anche altre cose.
Luisa, vittima, ottiene che un’anima si salvi.
Come una mattina mentre mi trovavo nelle solite mie sofferenze, il mio caro Gesù mi trasportò fuori di me stessa e mi fece vedere un uomo che era ucciso a colpi di rivoltella e che allora stava spirando e per andare all'inferno.
Oh! quanta pena faceva a Gesù la perdita di quell'anima, se tutti sapessero quanto soffre Gesù per la perdita delle anime, non dico per loro, ma almeno per risparmiare quella pena a nostro Signore, userebbero tutti i mezzi possibili per non andare perduti eternamente.
Ora mentre mi trovavo insieme con Gesù in mezzo alle pallottole, Gesù avvicinò le sue labbra alle mie orecchie e mi disse: "Figlia mia, vuoi tu offrirti vittima per la salvezza di quest'anima e prendere sopra di te le pene che lui merita per i suoi gravissimi peccati?”
Ed io risposi: "Signore, sono pronta a patto, però che lo salvi, e gli restituisca la vita.”
Chi può dire le sofferenze che venivano?
Furono tali e tante, che io stessa non so come non mi lasciò la vita.
Ora mentre mi trovavo in questo stato di sofferenze, da più di un’ora era venuto il mio confessore per chiamarmi all'ubbidienza, e trovandomi molto sofferente, stentatamente potevo ubbidire, perciò mi domandò la ragione d'un tale stato, io gli dissi il fatto come l'ho descritto sopra dicendogli il punto del paese dove mi pareva che fosse successo.
Il confessore mi disse che il fatto era vero, ma che lo portavano per morto, poi si seppe che stava malissimo, ma a poco a poco si ristabilì e ora vive ancora, sia sempre benedetto il Signore.
Valore immenso della croce.
Gesù crocifigge Luisa per la prima volta.
Ricordo che seguitando a domandare la crocifissione e trasportandomi Gesù fuori di me stessa, mi portava nei luoghi santi di Gerusalemme, dove nostro Signore patì la sua dolorosa passione e là incontrammo molte croci, il mio diletto Gesù mi diceva: "Se tu sapessi che bene contiene in sé la croce, come rende l'anima preziosa, che gemma d'inestimabile valore acquista chi ha il bene di possedere le sofferenze, basta dirti solamente che venendo sulla terra non scelsi le ricchezze, i piaceri, ma ebbi come care ed intime sorelle la croce, la povertà, le sofferenze, le ignominie.”
Mentre così diceva, mostrava un tale gusto, una gioia del patire, che quelle parole mi passavano il cuore a parte a parte come tanti dardi infuocati, tanto che mi sentivo venir meno la vita se il Signore non mi concedeva il patire, e con quanta voce e forza avevo, non facevo altro che dire: "Sposo Santo, dammi il patire, dammi le croci, da questo solo conoscerò che mi ami, se mi contenti con le croci e coi patimenti.”
E così prendevo una di quelle croci più grandi che vedevo, mi mettevo sopra e pregavo Gesù che mi venisse a crocifiggere e Lui si compiaceva di prendere la mia mano ed incominciava a trapassarla col chiodo, di tanto in tanto il benedetto Gesù mi domandava: "Ti duole assai?
Vuoi che non continui?”
Ed io: "No, no diletto mio, continua, mi duole, sì, ma sono contenta.”
Ed avevo tale timore che non terminasse di crocifiggermi, che non facevo altro che dirgli: "Fa’ presto, oh Gesù! fa’ presto, non la prendere per le lunghe.”
Ma quando si giungeva a inchiodarmi l'altra mano, i bracci della croce si trovavano corti, mentre prima mi parevano sufficienti per poter fare ciò, chi può dire quanto rimanevo mortificata?
Questo si ripeteva molte volte e a volte se si trovavano i bracci, non si trovava la lunghezza della croce per poter distendere i piedi, in una parola, ci doveva mancare una cosa perché non si portasse a termine la crocifissione.
Chi può dire l'amarezza dell'anima mia ed i lamenti che rivolgevo a Nostro Signore che non mi concedeva il vero patire?
Gli dicevo: "Diletto mio, tutto finisce in burla, mi dicevi di dovermi portare nel Cielo e poi di nuovo mi facevi ritornare alla terra, mi dici di dovermi crocifiggere e mai veniamo alla completa crocifissione.”
E Gesù di nuovo mi prometteva che mi avrebbe crocifissa.
Una mattina, era il giorno dell’esaltazione della croce, 14 Settembre 1899, il mio dolce Gesù mi trasportò nei luoghi santi e, prima mi disse tante cose della virtù della croce, non ricordo tutto, appena qualcosa: "Diletta mia, vuoi tu essere bella?
La croce ti darà i lineamenti più belli che si possano trovar e nel Cielo e nella terra, tanto da innamorare Iddio che contiene in Sé tutte le bellezze.”
Continuava Gesù: "Vuoi tu essere piena d'immense ricchezze, non per breve tempo ma per tutta l'eternità?
Ebbene, la croce ti somministrerà tutte le specie di ricchezze, dai centesimi più piccoli, qual sono le piccole croci, alle somme più grandi, quali sono le croci più pesanti, eppure gli uomini sono tanto avidi per guadagnare un soldo temporale che dovranno presto lasciare e nessun pensiero si danno per acquistare un centesimo eterno, e quando Io, avendo compassione di loro, vedendo la loro spensieratezza per tutto ciò che riguarda l'eterno, benignamente porgo loro l'occasione, invece d'averlo a caro, si indignano e mi offendono.
Che pazzia umana, pare che la capiscano al rovescio.
Diletta mia, nella croce ci sono tutti i trionfi, tutte le vittorie ed i più grandi acquisti, tu non devi aver altra mira che la croce e questa ti basterà per tutto questo.
Oggi voglio contentarti, quella croce che finora non bastava per poterti stendere e completamente crocifiggere è la croce che tu finora hai portato, quindi, dovendoti completamente crocifiggere hai bisogno che nuove croci faccia scendere sopra te, onde quella croce che finora hai trovato, me la porterò nel Cielo per mostrarla come pegno del tuo amore a tutta la corte celeste e farò scendere un'altra più grande dal Cielo per poter soddisfare le mie ardenti brame che ho sopra di te.
Mentre Gesù diceva ciò, si presentò quella croce vista da me le altre volte, io la presi e mi distesi sopra, mentre stavo così, si aprì il Cielo e vi scese l'evangelista san Giovanni, portava la croce che Gesù mi aveva indicato, la Regina Madre e molti angeli, quando giunsero a me vicino, mi tolsero da sopra quella croce e mi misero sopra quella che mi avevano portato, molto più grande, un angelo poi prese quella croce di prima e se la portò nel Cielo.
Dopo ciò, Gesù, di propria mano, incominciò ad inchiodarmi sopra quella croce, Mamma Regina mi assisteva, gli angeli e san Giovanni porgevano i chiodi.
Il mio dolce Gesù mostrava un tale contento, una gioia nel crocifiggermi, che solo per poter dare quel contento a Gesù, non solo avrei sofferto la croce ma altre pene ancora.
Ah! mi pareva che il Cielo facesse nuova festa per me nel vedere il contento di Gesù.
Molte anime dal purgatorio furono liberate prendendo il volo per il Cielo e parecchi peccatori furono convertiti, perché il mio Divin Sposo a tutti partecipò il bene delle mie sofferenze.
Chi può dire poi i dolori intensi che provai nell'essere bene bene distesa sulla croce ed essere trapassate le mani ed i piedi con i chiodi?
Ma specialmente ai piedi era tanta l'atrocità delle pene che non possono essere descritte.
Quando finirono di crocifiggermi ed io sentivo che nuotavo nel mare delle pene e dei dolori, Mamma Regina disse a Gesù: "Figlio mio, oggi è giorno di grazia, voglio che di tutto le partecipi le tue pene, non resta altro che le passi il cuore con la lancia e le rinnovi la corona di spine.”
Allora Gesù stesso prese la lancia e mi passò il cuore da parte a parte, gli angeli presero una corona di spine ben folta e la diedero in mano alla Santissima Vergine e Lei stessa me la conficcò in testa.
Che giorno memorando fu per me, di dolori, sì, e di contenti; di pene indicibili, ma anche di gioia.
Basta sol dire che era tanta la forza dei dolori, che Gesù per tutto quel giorno non si mosse da me vicino per sorreggere la mia natura che veniva meno alla vivacità delle pene.
Quelle anime del purgatorio che erano volate al Cielo scendevano unite con gli angeli e circondavano il mio letto, ricreandomi coi loro cantici e ringraziando affettuosamente ché, per le mie sofferenze, le avevo liberate da quelle pene.
Succedeva poi che passati cinque, sei giorni di quelle pene intense, con mio grande rammarico quelle pene incominciavano a diminuire ed allora sollecitavo il mio diletto Gesù che di nuovo mi rinnovasse la crocifissione, e Lui, quando presto e quando un po' tardi si compiaceva di trasportarmi nei luoghi santi e mi partecipava le pene della sua dolorosa passione...
or la corona di spine, or la flagellazione, mi faceva or portare la croce al calvario ed or la crocifissione.
Quando un mistero al giorno e quando tutto in un giorno, secondo che a Lui piaceva e questo mi riusciva con sommo dolore e contento dell'anima mia.
Ma allora mi riusciva amarissimo quando si cambiava la scena ed invece di soffrire io, ero io spettatrice di veder soffrire all’amantissimo Gesù le pene della dolorosa passione.
Ah! quante volte mi trovavo in mezzo ai giudei insieme con Mamma Regina a veder soffrire il mio diletto Gesù! Ah! sì, è pur vero che riesce più facile alla persona stessa soffrire che veder soffrire la persona amata.
Altre volte ricordo che il mio dolce Gesù rinnovando queste crocifissioni, mi disse: "Diletta mia, la croce fa distinguere i reprobi dai predestinati.
Come nel giorno del giudizio i buoni si rallegreranno al vedere la croce, così fin d'ora si può vedere se uno dev'essere salvo o perduto, se al presentarsi della croce l'anima l'abbraccia, se la porta con rassegnazione, con pazienza e bacia e ringrazia quella mano che l'invia, eccoti il segno che è salva.
Se al contrario al presentarsi della croce s'irrita, la disprezza e giunge fino ad offendermi, puoi dire, è segno che è un’anima che s’incammina per la via dell'inferno; così faranno i reprobi nel giorno del giudizio, che al veder la croce si affliggeranno e bestemmieranno.
Tutto dice la croce, la croce è un libro che senza inganno ed a chiare note ti dice e fa distinguere il santo dal peccatore, il perfetto dall'imperfetto, il fervoroso dal tiepido.
La croce comunica una tale luce all'anima, che fin d'ora non solo fa distinguere il buono dal reo, ma si può conoscere ancora chi dev'essere più o meno glorioso nel Cielo, chi deve occupare un posto superiore e un posto minore.
Tutte le altre virtù stanno umili e riverenti innanzi alla virtù della croce ed innestandosi con essa ne ricevono maggior lustro e splendore.”
Chi può dire quali fiamme di desiderio ardenti gettava nel mio cuore questo parlare di Gesù?
Mi sentivo divorare dalla fame del patire e Lui, per soddisfare le mie brame, oppure, per dire meglio, ciò che Lui stesso m'infondeva, mi rinnovava la crocifissione.
Ricordo che a volte, dopo aver rinnovato queste crocifissioni mi diceva: "Diletta del cuor mio, bramo ardentemente non solo crocifiggerti l'anima e comunicarti i dolori della croce al corpo, ma desidero suggellarti anche il corpo col suggello delle mie piaghe e voglio insegnarti la preghiera per ottenere questa grazia; la preghiera è questa: "Io mi presento innanzi al trono supremo di Dio, bagnata nel sangue di Gesù Cristo, pregandolo che, per il merito delle sue preclarissime virtù e della sua divinità, mi conceda la grazia di crocifiggermi.”
Io però ho avuto sempre avversione a tutto ciò che può comparire all’esterno, così come ce l’ho ancora, ma nell'atto che Gesù diceva, mi sentivo infondere tale brama di soddisfare al suo desiderio, che pure ardivo dire a Gesù che mi crocifiggesse nell'anima e nel corpo e qualche volta gli dicevo: "Sposo santo, non vorrei cose esterne e se qualche volta ardisco dirle, è perché Tu stesso me lo dici ed anche per dare un segno al confessore che sei Tu che operi in me.
Ma del resto, non vorrei altro che quei dolori che mi fai soffrire quando mi rinnovi la crocifissione, fossero permanenti, non vorrei quella diminuzione dopo qualche tempo e questo solo mi basta, e quanto più mi puoi tenere nascosta all’apparenza esterna, tanto più mi contenterai.”
Gesù stesso fa l’ufficio di confessore.
Ricordo in modo confuso che domandavo spesso, quando mi trovavo insieme con Nostro Signore, il dolore dei miei peccati e la grazia che mi perdonasse tutto ciò che di male avevo fatto e, a volte giungevo a dirgli che allora sarei stata contenta quando dalla sua propria bocca mi avesse detto: "Ti rimetto tutti i tuoi peccati.”
E Gesù benedetto, che niente sa negare quando è per nostro bene, una mattina si fece vedere e mi disse: "Questa volta voglio fare Io stesso l'uffizio di confessore e tu confesserai a Me tutte le tue colpe e nell'atto in cui farai ciò, ti farò comprendere uno per uno i dolori che hai dato al cuor mio nell'offendermi, acciocché, comprendendo tu, per quanto può una creatura, che cosa è il peccato, prenda risoluzione piuttosto di morire che di offendermi.
Tu intanto entra nel tuo nulla e recita il confiteor.”
Io, entrando in me stessa, scorgevo tutta la mia miseria e le mie scelleraggini e, innanzi alla sua presenza, tremavo come una verga e mi mancava la forza di pronunziare le parole del confiteor e, se il Signore non avesse infuso in me nuova forza col dirmi: "Non temere, se sono giudice, sono ancora tuo padre, coraggio, andiamo avanti," lì sarei rimasta senza dire neppure una parola.
Onde dissi il confiteor tutta piena di confusione e d'umiliazione e, siccome mi vedevo tutta coperta dalle mie colpe, dando una occhiata, scorsi che quella che aveva fatto più affronto a Nostro Signore era la superbia, perciò dissi: "Signore, mi accuso innanzi alla tua presenza che ho peccato di superbia.”
E Lui: "Avvicinati al mio cuore, poggia l'orecchio e sentirai lo strazio crudele che hai fatto al mio cuore con questo peccato.”
Tutta tremante misi l'orecchio sopra il suo cuore adorabile, ma chi può dire ciò che sentii e compresi in quell’istante?
Specialmente dopo tanto tempo dirò solo qualcosa in modo confuso.
Ricordo che il suo cuore batteva tanto forte che pareva che volesse rompere il petto, poi mi parve che si facesse a brani a brani e, per il dolore, restava quasi distrutto.
Ah! se avessi potuto, sarei giunta a distruggere l'Essere Divino con la superbia.
Vi do una similitudine per farmi capire, altrimenti non ho parole per spiegarmi: immaginate un re e ai piedi di detto re un verme che, sollevandosi e gonfiandosi, incomincia a credere di essere qualcosa e che giunge a tale audacia, che sollevandosi a poco a poco giunge alla testa del re e gli vuol togliere la corona per mettersela in testa, poi lo spoglia dei suoi abiti regali, lo caccia dal trono ed infine cerca d'ucciderlo.
Ma quello che è più di questo verme, è che lui stesso non conosce il suo essere, tanto s'illude e non sa che per disfare lui non ci vuole altro che il re lo metta sotto i piedi e lo schiacci, e così finisce i suoi giorni.
L'orgoglio di questo verme, se ciò si potesse fare, in vero muove a sdegno ed a compassione ed insieme a ridicolaggine.
Tale mi vedevo io innanzi a Dio, cosa che mi riempì di tale confusione e dolore che mi sentivo rinnovare nel mio cuore lo strazio che soffriva il benedetto Gesù.
Dopo ciò mi lasciò ed io mi sentivo tal pena e comprendevo che era tanto brutto questo peccato di superbia, ch'è impossibile descriverlo.
Quando ebbi rimuginato ben ben tutto ciò in me stessa, il mio buon Gesù ritornò e mi disse di continuare la confessione delle mie colpe, ed io, tutta tremante, seguitai a fare l'accusa di pensieri, parole, opere, cause ed omissioni.
Intanto Lui vedeva che non potevo seguitare a fare la confessione per la pena che sentivo d'averlo tanto offeso, perché avevo una chiarezza sì viva innanzi a quel Sole divino, specialmente perché vi scorgevo la piccolezza, la nullità dell'essere mio e restavo stupita per come avevo avuto tanto ardire e da dove avevo preso quel coraggio d'offendere un Dio sì buono che nell'atto stesso in cui l'offendevo, Lui mi assisteva, mi conservava, mi alimentava e, se aveva qualche rancore verso me, era per il peccato che facevo, che odiava sommamente, ma mi amava immensamente, mi scusava innanzi alla divina giustizia e tutto s'occupava per togliere quel muro di divisione che aveva prodotto il peccato tra l'anima e Dio.
Oh! se tutti potessero vedere chi è Dio e chi è l'anima nel momento in cui pecca, tutti morrebbero di dolore e credo che il peccato sarebbe esiliato dalla terra.
Quindi, quando Gesù benedetto vedeva che per la pena non ne potevo più, si ritirava e mi lasciava, per ben farmi comprendere il male che avevo fatto e dopo ritornava e continuavo l'accusa delle mie colpe.
Ma chi può dire tutto ciò che compresi e spiegare uno per uno i diversi affronti ed i dolori speciali che con le mie colpe avevo recato a Nostro Signore?
Mi sento quasi impossibilitata a spiegarmi anche perché non tanto ricordo bene.
Onde quando ebbi finito l'accusa che durò circa sette ore, l'amabile Gesù prese l'aspetto di padre amorosissimo e siccome io mi trovavo priva di forze per il dolore e molto più che vedevo che non era dolore bastante per dolermi come si conveniva delle mie colpe, Lui, per rincorarmi, mi disse: "Voglio supplire Io per te ed applico all'anima tua il merito del dolore che ebbi nell'orto del Getsemani.
Questo solo può soddisfare la divina giustizia.”
Dopo che applicò all'anima mia il suo dolore, allora mi parve d'essere disposta per ricevere l'assoluzione.
Tutta umiliata e confusa com'ero e prostrata ai piedi del buon padre Gesù, coi raggi che mandava nella mia mente, cercavo d'eccitarmi maggiormente al dolore col dire, sebbene non ricordi tutto: "Grande, sommo è stato il male che ho fatto verso di Te.
Queste potenze mie e questi sensi del corpo avrebbero dovuto essere tante lingue per lodarti.
Ah! invece sono state come tante vipere velenose che Ti mordevano e cercavano anche d'ucciderti.
Ma, padre santo, perdonami, non volere discacciarmi per il gran torto che ti ho fatto, peccando.”
E Gesù: "E tu, prometti di non peccare più, di bandire dal tuo cuore ogni ombra di male che potrebbe offendere il tuo Creatore?”
Ed io: "Ah! sì, con tutto il cuore Te lo prometto.
Voglio piuttosto mille volte morire che mai più peccare, mai più, mai più.”
E Gesù: "Ed Io ti perdono ed applico all'anima tua i meriti della mia passione e voglio lavarla nel mio sangue.”
E mentre così diceva, alzò la benedetta destra e pronunziò le parole dell'assoluzione, come le parole che dice il sacerdote quando dà l'assoluzione e nel momento in cui ciò faceva, dalla sua mano scorreva un fiume di sangue e l'anima mia restava tutta inondata.
Dopo ciò mi disse: "Vieni, oh figlia, vieni a fare penitenza dei tuoi peccati col baciare le mie piaghe.”
Tutta tremante mi alzai e baciai le sue sacratissime piaghe e poi mi disse: "Figlia mia, sii più vigilante ed attenta, ché oggi ti do la grazia di non cadere più nel peccato veniale volontario.”
Poi mi fece altre esortazioni che non tanto ricordo bene e disparve.
Chi può dire gli effetti di questa confessione fatta a Nostro Signore?
Mi sentivo tutta imbevuta della grazia e mi lasciò tanto impressa che non posso dimenticarmi ed ogni qualvolta mi ricordo, mi sento correre un brivido nelle ossa ed insieme prendere da raccapriccio nel pensare qual è la mia corrispondenza a tante grazie che il Signore mi ha fatto.
Altre volte il Signore si è benignato di darmi Lui stesso l'assoluzione, prendendo la forma di sacerdote ed io mi confessavo come se fosse sacerdote, sebbene sentissi diversi effetti e, terminata la confessione, si faceva conoscere che era Gesù; altre volte palesemente veniva facendosi conoscere da principio che era Gesù; qualche volta pure prendeva la forma del confessore, tanto che io credevo di parlare con lui e dicevo tutti i miei timori, i miei dubbi, ma dalle risposte che mi dava, dalla soavità della voce intramezzata or da quella del confessore, or da quella di Gesù, dal suo amabile tratto ed dagli effetti interni, scoprivo che era Lui.
Ah! se io volessi dire tutto su queste cose, andrei troppo per le lunghe, perciò finisco e faccio punto...
La seconda guerra tra l’Italia e l’Africa.
Ricordo che ci fu la seconda guerra tra l'Africa e l'Italia ed il benedetto Gesù, un giorno circa nove mesi prima, mi trasportò fuori di me stessa e mi fece vedere una via lunghissima, piena di carne umana immersa nel sangue che a fiumi inondava quella via.
Faceva orrore a vedere quei cadaveri esposti all'aria aperta, senza avere neppure chi li seppellisse.
Io, tutta spaventata, dissi a Nostro Signore: "Che cosa è questo?”
E Lui: "Nell'anno prossimo ci sarà la guerra.
Si servono della carne per offendermi ed Io sulla loro carne voglio fare le mie giuste vendette.”
Disse altre cose, ma la lunghezza del tempo non me le fa ricordare.
Ora, avvenne che passato quel periodo di tempo s'incominciò a sentire che tra l'Africa e l'Italia c’era la guerra.
Io pregavo il buon Gesù che risparmiasse tante vittime e che avesse pietà di tante anime che andavano all'inferno.
Una mattina, secondo il solito, mi trasportò fuori di me stessa e vidi che quasi tutte le genti erano convinte che dovesse vincere l'Italia, mi parve di trovarmi a Roma e di vedere i deputati che tenevano consiglio tra loro su come dovevano portare innanzi la guerra per essere sicuri di far vincere l'Italia.
Erano tanto gonfi di loro stessi che facevano pietà, ma quel che più mi fece impressione fu il vedere che quasi tutti questi tali erano settari, anime vendute al demonio.
Che tristi tempi! pareva proprio che regnasse il regno satanico e anziché mettere la loro fiducia in Dio, la mettevano nel demonio.
Ora, mentre si stavano consigliando, il mio benedetto Gesù disse a me: "Andiamo a sentire cosa dicono.”
Mi parve d'entrare nel loro circolo insieme con Lui.
Gesù passeggiava in mezzo a loro e versava lacrime sul loro misero stato.
Quando ebbero finito di consigliarsi su come fare, vantando d'essere sicuri della vittoria, allora Gesù si rivolse loro e disse minacciandoli: "Fidate di voi stessi e perciò vi umilierò, questa volta perderà l'Italia...”
Riprende la narrazione della Novena del Santo Natale.Terza Ora.
J.M.J.
Fiat Ora, per obbedire riprendo a dire ciò che lasciai a pagina 6 di questo 1º volume, cioè della novena del Santo Natale; mentre dalla seconda meditazione passavo alla terza, una voce interna mi diceva: "Figlia mia, poggia la tua testa sul seno della mia Mamma, guarda fin dentro di esso la mia piccola Umanità, il mio amore mi divorava, gli incendi, gli oceani, i mari immensi dell'amore della mia Divinità m’inondavano, m'incenerivano, alzavano tanto le loro fiamme che si alzavano e si estendevano ovunque, a tutte le generazioni, dal primo all'ultimo uomo e la mia piccola Umanità era divorata in mezzo a tante fiamme, ma sai tu, il mio eterno amore che cosa mi vuol far divorare?
Ah! le anime! Ed fui contento solo quando le divorai tutte, restando con Me concepite, ero Dio, dovevo operare come Dio, dovevo prendere tutte, il mio amore non mi avrebbe dato pace se avessi escluso qualcuna.
Ah! figlia mia, guarda bene nel seno della mia Mamma, fissa bene gli occhi nella mia Umanità concepita e vi troverai l'anima tua concepita con Me, le fiamme del mio amore che ti divorarono.
Oh! quanto ti ho amato e ti amo! Io mi sperdevo in mezzo a tanto amore, né sapevo uscirmene, ma una voce mi chiamava forte dicendomi: "Figlia mia, ciò è nulla ancora, stringiti più a me, dà le tue mani alla mia cara Mamma affinché ti tenga stretta sul suo seno materno e tu dà un altro sguardo alla mia piccola Umanità concepita e guarda il quarto eccesso del mio amore.”
Quarta Ora.
4º.- "Figlia mia, dall'amore divorante passa a guardare il mio amore operante.
Ogni anima concepita mi portò il fardello dei suoi peccati, delle sue debolezze e passioni ed il mio amore mi comandò di prendere il fardello di ciascuno e non solo concepì le anime, ma le pene di ciascuna, le soddisfazioni che ognuna doveva dare al mio Celeste Padre.
Sicché la mia passione fu concepita insieme con Me.
Guardami bene nel seno della mia Celeste Mamma.
Oh! come la mia piccola Umanità era straziata, guarda bene come la mia piccola testolina era circondata da un serto di spine, che cingendomi forte le tempie mi facevano mandare fiumi di lacrime dagli occhi, né potevo muovermi per asciugarle.
Deh! muoviti a compassione di Me, asciugami gli occhi bagnati dal tanto piangere, tu che hai le braccia libere per poterlo fare, queste spine sono il serto dei tanti pensieri cattivi che si affollano nelle menti umane, oh! come mi pungono più delle spine che germoglia la terra, ma guarda ancora che lunga crocifissione di nove mesi, non potevo muovere né un dito, né una mano, né un piede, ero qui sempre immobile, non c'era posto per potermi muovere un tantino, che lunga e dura crocifissione coll'aggiunta che tutte le opere cattive, prendendo forma di chiodi, mi trafiggevano mani e piedi ripetutamente.”
E così continuava a narrarmi tutte le pene, tutti i martiri della sua piccola Umanità, che volerli dire tutti mi dilungherei troppo.
Ond'io mi abbandonavo al pianto, mi sentivo dire nel mio interno: "Figlia mia, vorrei abbracciarti ma non posso, non c'è lo spazio, sono immobile, non lo posso fare; vorrei venire a te, ma non posso camminare.
Per ora abbracciami e vieni tu a Me, poi quando uscirò dal seno materno verrò Io a te.”
Ma mentre con la mia fantasia l'abbracciavo, me lo stringevo forte al mio cuore, una voce interna mi diceva: "Basta per ora, figlia mia, e passa a considerare il quinto eccesso del mio amore.”
Quinta Ora.
5º.- Onde la voce interna seguiva: "Figlia mia, non ti scostare da Me, non mi lasciare solo, il mio amore vuole la compagnia, è un altro eccesso del mio amore che non vuole essere solo.
Ma sai tu con chi vuol essere in compagnia?
Con la creatura.
Vedi, nel seno della mia Mamma, insieme con Me ci sono tutte le creature, concepite insieme con Me.
Io sto con loro tutto amore, voglio dire loro quanto le ami, voglio parlare con loro per dire le mie gioie ed i miei dolori e che sono venuto in mezzo a loro per renderle felici, per consolarle, che starò in mezzo a loro come un loro fratellino dando a ciascuna tutti i miei beni, il mio regno a costo della mia morte.
Voglio dare loro i miei baci, le mie carezze; voglio trastullarmi con loro, ma, ahi quanti dolori mi danno! chi mi fugge, chi fa il sordo e mi riduce al silenzio, chi disprezza i miei beni e non si cura del mio regno e chi ricambia i miei baci e carezze con la noncuranza e dimenticanza di Me e converte il mio trastullo in amaro pianto.
Oh! come son solo, eppure in mezzo a tanti.
Oh! come mi pesa la mia solitudine, non ho a chi dire una parola, con chi fare uno sfogo, neppure d'amore; sono sempre mesto e taciturno, perché, se parlo, non sono ascoltato.
Ah! figlia mia, ti prego, ti supplico, non mi lasciare solo in tanta solitudine, dammi il bene di farmi parlare coll'ascoltarmi, presta orecchio ai miei insegnamenti, Io sono il maestro dei maestri.
Quante cose voglio insegnarti! Se tu mi darai ascolto mi farai cessare di piangere e mi trastullerò con te.
Non vuoi tu trastullarti con Me?”
E mentre mi abbandonavo in Lui compatendolo nella sua solitudine, la voce interna seguiva: "Basta, basta e passa a considerare il 6º eccesso del mio amore.”
Sesta Ora.
6º.- "Figlia mia, vieni, prega la mia cara Mamma che ti faccia un po' di posticino nel suo seno materno, affinché tu stessa veda lo stato doloroso in cui mi trovo.”
Onde mi pareva col pensiero che la nostra Regina Mamma per contentare Gesù, mi facesse un po' di posto e mi mettesse dentro.
Ma era tale e tanta l'oscurità che non lo vedevo, sentivo solo il suo respiro e Lui, nel mio interno, seguiva a dirmi: "Figlia mia, guarda un altro eccesso del mio amore.
Io sono la luce eterna, il sole è un'ombra della mia luce, ma, vedi dove mi ha condotto il mio amore, in che oscura prigione Io sono?
Non c'è uno spiraglio di luce, è sempre notte per Me, ma notte senza stelle, senza riposo, sempre desta, che pena! la strettezza della prigione, senza potermi menomamente muovere, le fitte tenebre; respiro perfino per mezzo del respiro della mia Mamma, oh! come è stentato! E poi, aggiungi le tenebre delle colpe delle creature, ogni colpa è una notte per Me, che unendosi insieme forma un abisso d'oscurità senza sponde.
Che pena! oh eccesso del mio amore, farmi passare da una immensità di luce, di larghezza, in una profondità di fitte tenebre e di tali strettezze fino a mancarmi la libertà del respiro e ciò, tutto per amore delle creature.”
E mentre ciò diceva gemeva, quasi con gemiti soffocati per mancanza di spazio e piangeva.
Io mi struggevo in pianto, lo ringraziavo, lo compativo, volevo fargli un po' di luce col mio amore come Lui mi diceva, ma chi può dire tutto?
La stessa voce interna soggiungeva: "Basta per ora e passa al settimo eccesso del mio amore.”
Settima Ora.
7º.- La voce interna seguiva: "Figlia mia, non mi lasciare solo in tanta solitudine ed in tanta oscurità, non uscire dal seno della mia Mamma per guardare il settimo eccesso del mio amore.
Ascoltami, nel seno del mio Celeste Padre Io ero pienamente felice, non c'era bene che non possedessi, gioia, felicità, tutto era a mia disposizione, gli angeli riverenti mi adoravano e stavano ai miei cenni.
Ah! l'eccesso del mio amore, potrei dire, mi fece cambiare fortuna, mi restrinse in questa tetra prigione, mi spogliò di tutte le mie gioie, felicità e beni per vestirmi di tutte le infelicità delle creature e, tutto ciò, per fare il cambio, per dare la mia fortuna, le mie gioie e la mia felicità eterna a loro.
Ma ciò sarebbe stato nulla se non avessi trovato in loro una somma ingratitudine ed ostinata perfidia.
Oh! come il mio eterno amore restò sorpreso innanzi a tanta ingratitudine e pianse l'ostinatezza e la perfidia dell'uomo.
L'ingratitudine fu la spina più pungente che mi trafisse il cuore, fin dal mio concepimento fino all'ultimo momento del mio morire.
Guarda il mio cuoricino è ferito e sgorga sangue.
Che pena! che spasimo sento! Figlia mia, non essermi ingrata; l'ingratitudine è la pena più dura per il tuo Gesù, è il chiudermi in faccia le porte per farmi restare intirizzito per il freddo.
Ma a tanta ingratitudine il mio amore non si arrestò e si atteggiò ad amore supplicante, pregante, gemente e mendicante, questo è l'ottavo eccesso del mio amore.”
Ottava Ora.
8º.- "Figlia mia, non mi lasciare solo, poggia la tua testa sul seno della mia cara Mamma e anche al di fuori sentirai i miei gemiti, le mie suppliche e vedendo che né i miei gemiti, né le mie suppliche muovono la creatura a compassione del mio amore, mi atteggio in atto del più povero dei mendichi e, stendendo la mia piccola manina, chiedo per pietà almeno a titolo di elemosina le loro anime, i loro affetti ed i loro cuori.
Il mio amore voleva vincere a qualunque costo il cuore dell'uomo e, vedendo che dopo setti eccessi del mio amore era restio, faceva il sordo, non si curava di Me e né si voleva dare a Me, il mio amore si volle spingere di più, avrebbe dovuto arrestarsi, ma no, volle uscire di più dai suoi limiti e fin dal seno della mia Mamma faceva giungere la mia voce ad ogni cuore e coi modi più insinuanti, con le preghiere più ferventi, con le parole più penetranti.
Ma sai che gli dicevo?
"Figlio mio, dammi il tuo cuore, tutto ciò che tu vuoi Io ti darò purché mi dai in cambio il cuore tuo; sono sceso dal Cielo per farne preda, deh! non me lo negare! non rendere deluse le mie speranze!" E vedendolo restio, anzi molti mi voltavano le spalle, passavo ai gemiti, giungevo le mie piccole manine e, piangendo, con voce soffocata da singhiozzi, gli soggiungevo: "Ahi! ahi! sono il piccolo mendico, neppure in elemosina vuoi darmi il cuor tuo?
Non è questo un eccesso più grande del mio amore, che il Creatore per avvicinarsi alla creatura prenda la forma di piccolo bambino per non incutere timore e chieda almeno per elemosina il cuore della creatura e, vedendolo che non lo vuol dare, prega, geme e piange?”
E poi mi sentivo dire: "E tu non vuoi darmi il tuo cuore?
Forse anche tu vuoi che gema, preghi e pianga per darmi il tuo cuore?
Vuoi negarmi l’elemosina che ti chiedo?”
E mentre ciò diceva sentivo come se singhiozzasse ed io: "Mio Gesù, non piangere, Ti dono il mio cuore e tutta me stessa.”
Onde la voce interna seguiva: "Passa più oltre e passa al nono eccesso del mio amore.”
Nona Ora.
9º.- "Figlia mia, il mio stato è sempre più doloroso, se mi ami, abbi il tuo sguardo fisso in Me, per vedere se al tuo piccolo Gesù puoi apprestare qualche sollievo; una parolina d'amore, una carezza, un bacio metterà tregua al mio pianto ed alle mie afflizioni.
Senti, figlia mia, dopo avere dato otto eccessi del mio amore e l'uomo mi contraccambiò così malamente, il mio amore non si diede per vinto ed all'ottavo eccesso volle aggiungere il nono, e queste furono le ansie, i sospiri di fuoco, le fiamme dei desideri ché volevo uscire dal seno materno per abbracciare l'uomo e questo riduceva la mia piccola Umanità, non ancor nata, ad un’agonia tale da giungere a dare l'ultimo anelito.
E mentre stavo per dare l'ultimo respiro, la mia Divinità ch'era inseparabile da Me, mi dava dei sorsi di vita e così riprendevo la vita per continuare la mia agonia e ritornare di nuovo a morire.
Fu questo il nono eccesso del mio amore: agonizzare e morire d'amore continuo per la creatura.
Oh! che lunga agonia di nove mesi! Oh! come l'amore mi soffocava e mi faceva morire e se non avessi avuto la Divinità con Me che mi ridonava la vita ogni qualvolta stavo per finire, l'amore mi avrebbe consumato prima d'uscire alla luce del giorno.”
Poi soggiungeva: "Guardami, ascoltami come agonizzo, come il mio piccolo cuore batte, affanna, brucia; guardami, adesso muoio.”
E faceva profondo silenzio.
Io mi sentivo morire, mi si gelava il sangue nelle vene e, tremante, gli dicevo: "Amor mio, Vita mia, non morire, non mi lasciare sola, tu vuoi amore ed io t'amerò, non ti lascerò più, dammi le tue fiamme per poterti più amare e consumarmi tutta per Te.”

[1] Nella revisione di questi manoscritti, si è pensato di uniformare questo primo volume al resto dell’opera sostituendo, per esempio, i verbi al plurale (usati da Luisa in riferimento a Gesù e in forma di rispetto) con verbi al singolare in forma famigliare, così come sono usati negli altri volumi.
Ogni termine arcaico è stato sostituito con il corrispondente termine odierno, infine sono stati aggiunti i titoli che sintetizzano il concetto espresso nei paragrafi.
[2] Frase dialettale “fa na part” resa in italiano: “Facevano parte tante strane.”